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Apocalissi annunciate, governi mai caduti e profezie smentite dai fatti

La sinistra che sbaglia sempre: tre anni di allarmi mediatici contro il governo Meloni

Dai titoli sul “baratro” al fascismo che non c’è, fino agli sfratti mai notificati: mentre il Wall Street Journal fa autocritica, la stampa progressista italiana continua a scambiare i desideri per realtà e l’ideologia per informazione.

27 Dicembre 2025

La sinistra che sbaglia sempre: tre anni di allarmi mediatici contro il governo Meloni

L’autocritica che non c’è: la stampa progressista italiana prigioniera delle proprie profezie

Con uno stile, un’eleganza e soprattutto un coraggio che la stampa progressista italiana non ha mai mostrato, il Wall Street Journal – giornale notoriamente newyorkese e dichiaratamente antitrumpiano – ha scelto una strada tanto semplice quanto rivoluzionaria: l’autocritica. Invece di celebrare l’anno appena concluso con la consueta rassegna dei “fatti più importanti”, ha pubblicato l’elenco delle previsioni errate formulate dai propri giornalisti. Un gesto di trasparenza intellettuale raro, quasi eretico nel panorama mediatico contemporaneo. Chapeau.

Ora, proviamo per un momento a immaginare cosa accadrebbe se un esercizio analogo venisse compiuto dalla stampa progressista italiana da quando Giorgia Meloni è al governo. Il risultato sarebbe una lunga, imbarazzante collezione di titoli apocalittici mai tradottisi in realtà, di profezie politiche fallite, di desideri ideologici scambiati per analisi.

L’elenco è istruttivo.

  • la Repubblica, 27 settembre 2022: «Vince la destra. L’Italia verso il baratro». Il baratro, a distanza di anni, resta un concetto evocato più che dimostrato.
  • Il Manifesto, 29 settembre 2022: «Riecco il fascismo». Titolo potente, ma politicamente inflazionato, privo di riscontri fattuali.
  • Corriere della Sera, 29 settembre 2022: «Governo, tensioni sul Viminale». Le tensioni annunciate si sono rivelate fisiologiche, non destabilizzanti.
  • La Stampa, 18 dicembre 2022: «Il governo Meloni durerà sei mesi». Una previsione clamorosamente smentita dal calendario.
  • Il Messaggero, 12 gennaio 2023: «Il clima sta cambiando. Governo in bilico». Il governo è rimasto dov’era; il “bilico” è rimasto metaforico.
  • la Repubblica, 30 settembre 2023: «Palazzo Chigi sotto assedio. Paura del governo tecnico». Il governo tecnico non si è mai materializzato.
  • Corriere della Sera, 1 ottobre 2023: «Più deficit per il rilancio». Titolo che presupponeva una crisi imminente mai verificatasi nei termini annunciati.
  • Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2024: «Due anni di scandali e impunità». Formula suggestiva, priva però di conseguenze politiche reali.
  • La Stampa, 22 luglio 2024: «Autonomia, se scatta il quorum la premier va a casa». Il quorum non ha avuto l’effetto taumaturgico sperato.
  • la Repubblica, 7 gennaio 2025: «Il viaggio di Meloni da Trump? Inutile. Non la riceverà». Smentita dai fatti, come spesso accade quando il desiderio precede la verifica.
  • Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2025: «Finita la luna di miele tra governo ed elettori». Un titolo ciclico, ripetuto a ogni sondaggio sgradito.
  • Domani, 5 giugno 2025: «Avviso di sfratto per Meloni». Sfratto mai notificato.
  • La Stampa, 3 settembre 2025: «Regionali, il campo largo punta al 6-0». Il risultato elettorale ha raccontato tutt’altra storia.
  • Domani, 21 settembre 2025: «Ocse boccia il governo Meloni». Anche qui, la “bocciatura” si è rivelata una forzatura interpretativa.

Questi non sono incidenti isolati. Sono il sintomo di un giornalismo piegato all’ideologia, in cui la funzione informativa viene subordinata alla militanza, e l’analisi cede il passo alla tifoseria. Non si racconta ciò che accade, ma ciò che si vorrebbe accadesse. E quando la realtà smentisce la narrazione, non segue mai una rettifica, ma un nuovo titolo apocalittico.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: perdita di credibilità, calo dei lettori, crisi economica delle testate, passaggi di proprietà, redazioni ridotte all’osso. Non è una congiura, ma una conseguenza logica. Il pubblico, prima o poi, distingue tra informazione e propaganda.

L’autocritica del Wall Street Journal dimostra che un altro giornalismo è possibile: imperfetto, certo, ma onesto con se stesso. In Italia, invece, una parte consistente della stampa progressista continua a confondere l’auspicio con la notizia e l’ideologia con la realtà.

Ed è anche per questo che il suo declino non è un complotto politico, ma un fallimento professionale.

 

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