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Il DPP Difesa 2025-2027 pianifica il futuro militare italiano: sempre più stretto l’allineamento con la NATO contro il "nemico inesistente russo"

Il DPP 2025-2027 mostra che l’Italia sta perseguendo un riarmo strutturale, ben oltre i mandati elettorali. Mentre il dibattito politico resta marginale o assente, la concentrazione della spesa italiana sulla Difesa è destinata ad aumentare nei prossimi anni

20 Ottobre 2025

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Dai documenti ufficiali della Camera dei deputati emerge che il nuovo Documento Programmatico Pluriennale della Difesa (DPP) 2025-2027 è giunto alle Camere solo il 3 ottobre. Un invio che pare tardivo rispetto alla scadenza di legge. Secondo il Codice dell’ordinamento militare (comma 1, articolo 536 d.lgs 2010), il piano triennale andrebbe trasmesso entro il 30 aprile di ogni anno.

La programmazione coinvolge tutte e tre le Armi tradizionali, puntando a rinforzare la filiera dell’industria nazionale e a posizionare l’Italia come hub strategico nel Mediterraneo per test, integrazione e supporto operativo Ue-Nato. Per le forze terrestri è previsto l’ammodernamento di 125 carri Ariete e un aumento dei fondi per l’A2CS, un progetto che punta a una nuova gamma di veicoli corazzati. L’aeronautica punta ad acquistare sei M3A (Maritime Multi Mission Aircraft), pattugliatori marittimi-antisommergibile. Il Dpp stanzia per la prima volta risorse ingenti per il munizionamento, probabile segnale di preparazione a un impiego prolungato delle forze. La Marina avvia il programma “Sistemi di Deep Strike e Antinave”, che include la possibilità di armare le unità navali con missili da crociera per attacco terrestre. Un salto di capacità strategica per la nostra difesa navale. Infine, nel comparto delle nuove frontiere tecnologiche si segnalano, in particolare, il satellite Sicral 3 e le piattaforme stratosferiche per intelligence e sorveglianza HAPS (High Altitude Platform System).

Per l’anno in corso il bilancio della Difesa è aumentato: i 31,2 miliardi di euro segnano un aumento del 7,2% rispetto ai 29,1 miliardi registrati l’anno scorso. Sono inoltre previsti 31,2 miliardi nel 2026 e 31,7 miliardi nel 2027. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti riferì ad aprile che l’Italia avrebbe raggiunto il 2% del Pil sulla spesa per la Difesa: la soglia indicata dalla Nato. Detto, fatto: il piano dimostra che l’Italia è entrata nei Paesi Nato di fascia alta. La lettura del piano non chiarisce i criteri con cui è stato raggiunto il traguardo del 2,01%: sembrano mancare le tabelle con i conteggi trasmessi a Osce e Sipri, i maggiori osservatori internazionali. E malgrado le spese della Difesa siano aumentate di soli 3,1 miliardi (2,1 miliardi di bilancio + 1 miliardo del Mimit), il bilancio integrato in chiave Nato è lievitato a 45,3 miliardi di euro. Secondo il DPP, lo 0,5% del Pil necessario per raggiungere il target Nato deriva dal budget per contesti, domini e settori a cui è stato attribuito un focus più militare e dai progetti di cooperazione militare. Si tratta di due voci poco chiare. Per definire la strategia nazionale di difesa, va chiarito con precisione quali sono le minacce concrete che incombono sul Paese: un’invasione russa, il terrorismo o l’instabilità dei Paesi vicini? O un mix di tutte queste minacce? E quale priorità assegnare a ciascuna?

Il 24 e 25 giugno, i ministri della Difesa dei 32 Paesi Nato riunitisi a L’Aia si erano accordati sui nuovi obiettivi di spesa militare: aumento delle capacità nazionali di spesa al 3,5% del Pil e un discrezionale 1,5% in sicurezza allargata entro il 2035. Un balzo senza precedenti per i bilanci dell’Alleanza atlantica. Per raggiungere anche solo il primo degli obiettivi Nato, l’Italia dovrebbe spendere almeno 165 miliardi di euro in più. Un traguardo difficile a livello politico e fiscale: il debito pubblico è elevatissimo (135% del Pil), la crescita economica è stagnante (0,7%) e una parte notevole dell’elettorato è ostile all’aumento della spesa militare.

di Roberto Valtolina

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