16 Ottobre 2025
Giuseppe Conte, fonte imagoconomica
Dicono che Giuseppe Conte non risponde più al telefono. Silenzioso, ovattato, chiuso nel fortino romano con tre fedelissimi e un termometro elettorale che segna febbre alta. Dopo l’ennesimo flop alle Regionali – ultimo atto: la Toscana – il Movimento 5 Stelle è tornato sotto al 6%, relegato al ruolo di comparsa in una coalizione che il Pd guida e in cui i grillini arrancano.
“Il problema non è perdere – mormora un parlamentare campano – è che nessuno si accorge nemmeno che ci siamo”.
Conte, da leader “pacato”, rischia di essere ricordato come il traghettatore del dissolvimento. Gli fanno notare che non c’è una campagna, una voce, un volto. I candidati vengono imposti dall’alto, spesso all’ultimo secondo. Il caso Ricci nelle Marche è diventato un “sasso” che ancora rotola: la base non lo voleva, i territori non sono stati coinvolti, l’alleanza col Pd è passata sopra ogni discussione interna. Il risultato? Sconfitta bruciante, elettori 5 Stelle che si astengono in massa.
Nel frattempo, il Movimento vive un eterno congresso non dichiarato. La “Costituente”, evocata da Conte per rifondare tutto, è diventata una parola vuota. I territori sono deserti, i meetup sono spariti, le poche voci critiche vengono isolate. Grillo osserva da lontano, ogni tanto sussurra. Altri ex big – Di Battista su tutti – ringhiano da fuori ma non rientrano. Dentro, regna il vuoto.
I vertici parlano di rilancio, ma la verità è che nel campo largo il M5S è il vaso di coccio. I sondaggi lo danno in calo costante, e la sensazione è che Conte stia cercando un ruolo personale più che una linea politica. “Vuole fare il federatore, ma non ha più un esercito”, dice un consigliere regionale uscente.
I prossimi mesi saranno decisivi. Ma nel Movimento, più che tensione, regna la rassegnazione. “Così – dice un veterano pugliese – non arriviamo nemmeno al 2027. E il bello è che Conte fa finta di non saperlo.”
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