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Sentenza del Tribunale di Torino, Viminale sotto accusa, ma la realtà è più complessa, le istituzioni operano in condizioni d'emergenza

La vera sfida è riformare il sistema, non punire chi ci lavora

10 Agosto 2025

Sentenza del Tribunale di Torino, Viminale sotto accusa, ma la realtà è più complessa, le istituzioni operano in condizioni d'emergenza

La recente sentenza del Tribunale civile di Torino, che ha bollato come “discriminatorie” le modalità di gestione dei richiedenti asilo presso la Questura, ha fatto molto rumore. Ma dietro le accuse mosse al Ministero dell’Interno e agli uffici locali si cela una realtà ben più complessa dove le istituzioni hanno operato in condizioni di emergenza, spesso senza gli strumenti adeguati.

Torino, come molte grandi città italiane, è alle prese con una pressione migratoria costante. Negli ultimi anni, le domande di asilo sono aumentate in modo esponenziale senza che a questo trend sia corrisposto un rafforzamento strutturale degli organici, delle infrastrutture e delle tecnologie amministrative. In tale contesto, attribuire colpe dirette alla Questura e al Viminale appare quantomeno ingeneroso.

L’accoglienza non è solo una questione di diritti, è anche una questione logistica. Chi invoca modelli ‘ideali’ dovrebbe prima chiedersi se le condizioni locali li rendano applicabili. La pronuncia menziona il “modello Milano” come esempio virtuoso. Tuttavia, anche sul piano giuridico molti esperti mettono in discussione il paragone in quanto il tribunale ha applicato un principio di uguaglianza formale, ma ha ignorato le condizioni materiali. Torino e Milano non sono paragonabili in termini di flussi, logistica, disponibilità di personale e strutture. In diritto, l’uguaglianza va valutata anche rispetto al contesto. Inoltre, a Milano buona parte della gestione è affidata a cooperative convenzionate, il che riduce notevolmente la pressione sulla Questura. A Torino, simili accordi sono ancora in fase embrionale.

Non sono mancate le reazioni dal mondo politico. La senatrice Daniela Santanché (FdI) ha definito la decisione “un attacco ideologico alla gestione della immigrazione da parte di questo governo”: “il tribunale ha trasformato un problema organizzativo in una colpa politica. È inaccettabile. Lo Stato fa il possibile per garantire sicurezza e accoglienza, ma non si può chiedere l’impossibile a chi lavora ogni giorno tra mille difficoltà”. Anche il sottosegretario all’Interno, Nicola Molteni (Lega), ha annunciato che il Viminale presenterà ricorso immediato ritenendo che “la sentenza non tiene conto delle condizioni reali del lavoro degli uffici pubblici, e rischi di creare un precedente sbilanciato, dove il diritto formale prevale sul principio di ragionevolezza”. Le sigle sindacali SAP e SIULP hanno espresso solidarietà al personale della Questura definendo il giudizio “una ferita ingiusta inferta a chi è in prima linea”. La verità è che mancano uomini, mezzi e strutture. Colpevolizzare chi regge il sistema è un atto miope che rischia di scoraggiare anche i più volenterosi.

La sentenza di Torino ha acceso i riflettori su una realtà scomoda, ma il vero rischio ora è trasformare le vittime del sistema in colpevoli. Il governo ha il dovere - e l’intenzione - di riformare la gestione dell’accoglienza e degli sportelli migranti, ma servono risorse, non sentenze. Senza un sostegno concreto a livello nazionale, nessuna Questura potrà reggere a lungo una pressione che cresce giorno dopo giorno.

di Fulvio Pironti

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