09 Maggio 2025
Che tutti ostentino di saperla lunga, se non di sapere tutto, su un papa che fino a ieri nessuno conosceva dimostra la totale incertezza di chi non ne sa abbastanza per non dire niente. Si è letto che sarebbe l'uomo di Trump, che Trump avrebbe pagato 14 milioni di dollari per farlo eleggere: ammesso e non concesso che un simile retroscena corrisponda alla realtà, questo papamercato testimonia solo di una pratica corruttiva tra le mura di Pietro, ovvero così fan tutti, chissà quanto avranno donato altri per i pronosticati Zuppi e Parolin (il quale era davvero in predicato di Soglio fino all'ultimo, segato dalla contrarietà dei realisti). Ovvero la conferma che il papa è o almeno viene percepito niente più che un potente fra i potenti, fra i politici da corrompere, da manovrare. Ma bastano 14 milioni a eleggere un pontefice? L'altra indiscrezione del potente cardinale Dolan, “trumpiano”, che avrebbe lavorato per Prevost sembra scoprire un po' l'acqua calda, è evidente che ogni papabile gioca sulle sue cordate; ma l'elezione attuale più che al clero americano sa tanto di soluzione di compromesso: mettere una figura fluida, di progressismo moderato in mancanza di alternative, uno che può garantire una discontinuità felpata in modo da salvare il salvabile nella Chiesa cattolica in fortissima difficoltà e nel bisogno urgentissimo di salvarsi, ridefinendosi per quanto possibile.
Stando così le cose, del carneade Leone XIV si può dire, e in effetti si dice, tutto e il contrario di tutto: che è un uomo di Trump ma insofferente di Trump, il primo papa yankee, dell'America capitalista occidentale, ma con forti legami con l'America latina pauperista e anticapitalista, uno in continuità con Bergoglio il gesuita ma da agostiniano in totale rottura con Bergoglio, un dottrinario, uno che rimette la stola di Ratzinger, che per prima cosa recita l'Ave Maria e si esprime in latino ma anche nello spagnolesco del sud del mondo (oltre a ricordare la Madonna di Pompei cui era devoto un santo fortemente tradizionalista come Padre Pio: strano che nessuno lo abbia colto), uno che proteggeva la Chiesa pedofila di Chicago ma fortemente critico, anche duro verso la deriva gender, uno che predicava il vaccino Covid ma che vuole tornare al primato della Chiesa, uno spiritualista antimondano, un controglobalista globalizzato. E si potrebbe continuare con le illazioni e le contraddizioni che portano in tutte le direzioni ovvero da nessuna parte.
Tutto questo avventurarsi da aruspici o da stregoni testimonia della totale confusione cui indulgono i saccenti che debbono arrivare prima, imporsi sulla scena e riempire l'aria di parole vane, di previsioni vane; ma dimostra anche una cosa su tutte: il papa, guida spirituale della religione tuttora più diffusa al mondo, circa un miliardo e mezzo di fedeli, diciamo la più potente a livello mediatico e finanziario, è sminuito nella comprensione del suo ruolo, ne esce da personaggio dello spettacolo, potente ma effimero. D'altra parte se ne indagano gli elementi di rottura o di continuità col predecessore, si pretende di cogliere un orientamento spirituale dal nome che si è scelto ma questi rilievi per così dire interni, escatologici vengono poi traslati in uno scenario geostrategico, una prospettiva di autorità squisitamente temporale. Senza tener conto che lo spirito del tempo, che Bergoglio cavalcò in modo sciagurato, ha completamente svuotato la figura del pontefice di autorità morale e persino politica: tutti i papi sono, per definizione, “della pace”, “del dialogo”, ma se parlano di pace, se invocano la fine delle ostilità da questa e da quella parte del mondo, nessuno li ascolta, forse anche perché il papa regolarmente pacifista si trova a gestire una sua banca, lo Ior, che investe pesantemente nella fabbricazione e nel commercio di armi tramite i soliti giochi a domino della finanza globale. Un papa appena eletto non può che presentarsi con “la pace sia con tutti voi”, ma volersi incaponire nel decifrare cosa intenda, se disarmo o riarmo, è fatica vana e patetica. Interrogarsi, come sta puntualmente accadendo, sull'atteggiamento che avrà Leone XIV (per esempio) verso la Cina appare completamente velleitario, niente più che un gioco para-intellettuale, tanto più per una figura che praticamente deve ancora insediarsi, e che, giocoforza, risente di una condizione globale che lo relega forse, e diciamo forse, ancora a ruolo di guida per i cattolici, ma con assai meno possibilità di un Wojtyla di influire sulle grandi ideologie, sui sistemi totalitari in crisi, e poi al crollo, di circa mezzo secolo fa. Che il Vaticano sia a favore o diffidente verso una megapotenza come la Cina è questione che lascia il tempo che trova, potrà in caso riguardare quei poveri vescovi cinesi che Bergoglio ha lasciato sotto il pieno controllo della dittatura comunista, ma attribuire al papa un ruolo cruciale sembra fuori della storia, pare più una pretesa personale di certi analisti improvvisati. Così per infinite altre questioni per le quali ci si ostina a scambiare l'atteggiamento morale per quello di realpolitik.
Ci si chiede, ancora, come si comporterà questo papa che si è scelto un nome premoderno verso la post modernità. Come se fosse lui a poter arginare o invertire la rotta di una tecnologia che condiziona tutto e tutti, che mette insieme finanza, divertimento, controllo, comunicazioni globali, informazione a senso unico. In un'epoca in cui i cardinali, i papabili hanno tutti aperto profili social nei quali si effigiano intenti nelle occupazioni più disparate e più fatue, dal lavarsi i panni al trincare in compagnia, papa Leone XIV che fa: li caccia, li scomunica tutti? O abbozza e se mai si adegua? Quello che si può azzardare, ma così, ad una impressione superficiale, ad una suggestione fisiognomica, è che questo papa, primo americano, ha assai poco dello yankee, che non sarà un papa coca-cola, piaccia o non piaccia al suo presunto sponsor alla Casa Bianca: un tipo asciutto, poco portato al piacionismo, quasi impacciato; mentre parlava, ancora stordito dalla nomina (che comunque aveva preso a circolare già in tarda mattinata), qualcosa di lui riportava sia alla consapevolezza di Giovanni Paolo II che alla dolenza di Paolo VI, il grande sofferente, il tormentato. Ecco: sbaglieremo, ma ci sembra di poter sospettare che questo sarà un papa tormentato, memore non tanto delle sue responsabilità ma del peso di quelle responsabilità. Uno inviato non si sa se dallo spirito del tempo o dallo spirito santo, ma che difficilmente vedremo sghignazzare (anche se pare coltivi in privato uno spiccato senso dell'umorismo), tanto meno immergersi in bagni di folla, salvo, all'occorrenza, farsi scappare qualche insofferenza. Sinuoso nella missione, per forza di cose, ma meno umorale nel tratto: e questo è tutto, per il momento. Nessuno può sapere come si indirizzerà, dovendo recuperare una tradizione di magistero quasi completamente distrutta senza potersi opporre platealmente ad una tradizione parallela, quella della Chiesa missionaria e integrazionista di Bergoglio. Da una cosa tuttavia possiamo ripartire: la sua elezione ha fortemente deluso, perfino indispettito gli ultras della curva sud, quelli a sinistra di Casarini e Ilaria Salis, i fanatici duri di Zuppi e di quell'altro sventato che cantava “Imagine” vedendoci il Requiem o la Missa Papae Marcelli, John Lennon al posto di Mozart o Palestrina. Cazzate solenni che, da non praticanti e non pratici di cose Vaticane, non ci esaltano ma ci confortano, ci fanno dire, toh, finalmente si ragiona, abbiamo di nuovo un papa dopo 12 anni di vacanza.
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