31 Gennaio 2025
Giorgia Meloni (fonte: imagoeconomica.it)
Gravissimo l’attacco di questi giorni del Procuratore Capo di Roma al Governo italiano. Non risulta ci siano stati casi analoghi, nel mondo occidentale, di incriminazioni corali di un Premier, insieme a tre esponenti di spicco di un governo eletto democraticamente. Del resto, siamo sempre l’unico paese del mondo occidentale, in cui sono stati incriminati dalle varie Procure, in pochi anni, ben sei Presidenti del Consiglio, in carica od ex: Craxi, Andreotti, Goria, Forlani, Berlusconi ed oggi Meloni. Un record mondiale ahimè, che denota soltanto due possibilità: un vertice del paese inesorabilmente marcio e quindi la maggioranza dei cittadini italiani sostanzialmente masochista, oppure una pubblica accusa detentrice di poteri impropri. Ciò conferma comunque che in Italia, i Pubblici Ministeri hanno un ruolo politico indipendente ed assoluto, che ha colpito in questi ultimi anni, a torto od a ragione, persone e governi, tutti generalmente espressione del centro o del centro destra. Palese infatti è stata la stretta saldatura tra Pubblici Ministeri e Sinistra, emersa addirittura in modo eclatante durante la cosiddetta stagione di Mani Pulite, quando fu completamente risparmiato soltanto il vertice del Partito Comunista, pur ufficialmente incassatore di finanziamenti illeciti, addirittura internazionali. Ma questo è stato soltanto l’inizio: Luciano Violante, giudice istruttore a Torino (processo Sogno), diviene deputato PCI e poi Presidente della Camera dei Deputati; Gerardo D’Ambrosio, Capo del Pool Mani Pulite durante tangentopoli e poi Procuratore Capo a Milano, raggiunta la pensione, è stato immediatamente eletto Senatore per i DS (post PCI); Felice Casson, Pubblico Ministero a Venezia, inquisitore di vari esponenti DC e PSI (De Michelis, Bernini), viene eletto Senatore nei DS; Antonio Di Pietro, eletto per i DS deputato nel Mugello, è due volte Ministro dei Lavori Pubblici con Prodi; Pietro Grasso, Procuratore della Repubblica a Palermo (processi Andreotti, Dell’Utri, Mannino), poi Procuratore Nazionale Antimafia, viene eletto al Senato nel PD e quindi nominato Presidente del Senato; Anna Finocchiaro, Procuratore a Catania, eletta per il PD alla Camera dei Deputati, diviene poi Ministro, con Prodi e Gentiloni; Luigi De Magistris, già Procuratore a Catanzaro, diventa Europarlamentare e poi Sindaco di Napoli per il PD, Federico Cafiero De Raho, Pubblico Ministero a Milano e Napoli e poi Procuratore Nazionale Antimafia, viene eletto come capolista alla Camera nel Movimento 5 Stelle. Idem per Roberto Scarpinato, Procuratore a Palermo (processi Andreotti e Contrada), oggi senatore M5S.
Questi, alcuni dei più vistosi casi nazionali, cui fa da contrappeso soltanto Carlo Nordio, l’attuale Ministro della Giustizia. Ma ciò che è avvenuto in questi giorni, creerà purtroppo danni all’immagine dell’Italia ed alla sua credibilità internazionale, come i media di alcuni paesi europei, hanno già cominciato ad adombrare. I danni di oggi vanno così ad aggiungersi a quelli di ieri. Impossibile, fra essi, dimenticare che durante Mani Pulite, alcuni settori trainanti dell’economia italiana, che dominavano nel mondo, sono stati destabilizzati od addirittura azzoppati da inchieste, finite spesso nel nulla: incriminazioni dei vertici aziendali, sequestro degli impianti e blocco dei conti correnti, già all’inizio delle indagini. Nel settore delle imprese di costruzione, allora terze al mondo dopo USA e Giappone, sono stati eliminati alcuni colossi, quali tra i tanti, Lodigiani, Torno e Girola; nel settore farmaceutico, Farmitalia, Carlo Erba e Sigma Tau; nel settore impiantistico Belleli, Fochi ed in parte Ansaldo. Infine l’insistente e proditorio attacco al gruppo ENI, che ha avuto la sua sublimazione nella recente condanna del Pubblico Ministero milanese Fabio De Pasquale, tuttora confermato nel suo incarico, per avere occultato atti a favore degli accusati. Ci sono però motivi molto più profondi e seri che, a mio avviso, stanno alla base delle distorsioni giudiziarie, che da anni perseguitano l’Italia. I 57 miliardi versati ogni anno da Milano e dalla Lombardia insieme agli altrettanti, sommati insieme, del Veneto, dell’Emilia, della Liguria, del Piemonte e della Toscana, nelle casse dello Stato, che stabilizzano e sviluppano la crescita della nostra nazione, sono soprattutto figli di una cultura industriale, del terziario e del terziario avanzato, che hanno nella meritocrazia, nel rischio imprenditoriale, nell’innovazione tecnologica e nella competitività internazionale, valori scarsamente assimilati da alcuni organi indaganti, che non li hanno certamente potuti metabolizzare, anche per le condizioni al contorno in cui è avvenuta la loro formazione famigliare, educativa, scolastica e professionale. E questo, a mio parere, può creare una grande differenza, nelle modalità comportamentali di chi giudica spesso un mondo che non gli appartiene ed è tenuto a stabilire se un atto sia “dovuto” o “voluto”. In questa triste realtà, non vorremmo soltanto che si perpetuasse l’amara considerazione di Papa Gregorio VII: “Amai la giustizia e odiai l’iniquità, perciò muoio in esilio”.
Di Pierfranco Faletti.
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