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La sovranità europea e il ruolo degli Stati nazionali, le polemiche su Mattarella pongono domande importanti

Tra trattati e regolamenti, l’Ue ha un potere enorme, una cessione di sovranità ottenuta senza consultare direttamente la popolazione

04 Giugno 2024

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Pochi giorni prima del voto per il Parlamento europeo, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deciso di fare riferimento alla "sovranità" dell'Unione europea in un messaggio ai prefetti italiani. Lo ha fatto proprio nel giorno della Festa della Repubblica italiana, provocando una reazione del senatore leghista Claudio Borghi, con conseguenti polemiche nel mondo politico e giornalistico. Il tema non è secondario. L'UE ha un potere enorme sulle decisioni degli Stati membri, tanto da porre la domanda sull'effettiva sovranità di un singolo paese come l'Italia. Non dovrebbe spaventare se qualcuno chiede cosa servano effettivamente le istituzioni nazionali di fronte alla spinta esplicita verso un'Europa che di fatto si sostituisce alla sovranità nazionale. Può essere sì una provocazione, ma meglio discutere apertamente piuttosto che proseguire su una strada di trasferimento del potere decisionale che non viene approvato direttamente dalla cittadinanza.

Mi colpisce che in Italia il governo nazionale debba di fatto prendere decisioni all'interno dei parametri fissati a Bruxelles. Per questo sono andato a guardare i trattati europei, proprio per capire di chi è la competenza sulle materie di governo. Negli accordi, come modificati dal Trattato di Lisbona - l'ultimo che regolamenta il funzionamento dell'Unione - si elencano cinque ambiti di "esclusiva competenza" dell'UE: a) unione doganale; b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro; d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; e) politica commerciale comune.

Sono campi importanti, che vengono interpretati in modo ampio, per esempio quando si parla delle "regole di concorrenza"; su questa base, Bruxelles impone un modello in cui l'intervento pubblico dovrebbe ridursi al minimo, per garantire il funzionamento del libero mercato. E poi ci sono i regolamenti, che sono atti giuridici vincolanti per gli Stati membri, approvati dal Parlamento e dal Consiglio. L'esempio più chiaro è il Patto di stabilità e crescita, i cui parametri sul deficit e sul debito pubblico sono utilizzati per influenzare fortemente la spesa, attraverso negoziati e richiami continui sulla possibilità di impiegare o meno risorse pubbliche.

In questo modo, l'Unione di fatto acquisisce potere anche su settori in cui, secondo i trattati, avrebbe solo competenza "concorrente", come la politica sociale, i trasporti e la protezione dei consumatori. E si stabilisce espressamente che "gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche", con la possibilità di iniziative più forti per i paesi che adottano l'euro.

In tutto, l'Unione europea ha in effetti una grande capacità di decidere sulla vita e le scelte dei singoli paesi. Il problema è che pochissimi di questi paesi hanno consultato i loro cittadini in merito. Anzi, quando hanno cercato di farlo, con la proposta di adottare una Costituzione europea, i primi due stati ad indire dei referendum, la Francia e l'Olanda, l'hanno nettamente bocciata. Così si passò alla via del Trattato, quello di Lisbona appunto, che richiedeva solo l'approvazione dei parlamenti, senza la difficoltà di un dibattito pubblico. Solo l'Irlanda votò, tra l'altro due volte, in quanto i cittadini avevano respinto inizialmente, e poi, attraverso una serie di carote e bastoni, hanno approvato nella seconda consultazione.

Nonostante i dubbi sulla natura pienamente democratica di questo processo di perdita di sovranità, sentiamo il Presidente della Repubblica parlare di una decisione presa "con gli altri popoli liberi del continente". Sono molti a ribadire che l'Europa "l'abbiamo scelta noi", affermando che ora non si può tornare indietro. È vero solo in parte: le scelte importanti sono state fatte dagli organi istituzionali, spesso evitando il confronto con i cittadini. Se un partito politico vuole mettere in discussione queste scelte, facendo appello agli elettori, ha tutto il diritto di farlo.

di Andrew Spannaus

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