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Sardegna, Meloni infuriata dopo sconfitta Truzzu: accuse alla Lega per voto disgiunto; Salvini lascia il cdm: "Così non va"

Tensioni nel governo: FdI vuole mettere la fiducia sul terzo mandato e Pnrr, lite tra Fitto e il vicepremier leghista

27 Febbraio 2024

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni (fonte LaPresse)

Come guidata da un’inarrestabile forza di gravità, il rischio di una disfatta sarda piomba in consiglio dei ministri. È primo pomeriggio, ma a Palazzo Chigi già si fanno spazio cattivi pensieri. Raffaele Fitto, che di Giorgia Meloni è fedelissimo e amico, duella con Matteo Salvini. Con un’asprezza inedita, figlia di ore concitate. Volano parole pesanti, davanti ai colleghi dell’esecutivo. Il leghista gli imputa di aver finanziato alcune opere del Pnrr tagliando i progetti di ponti, strade e ferrovie, a lui cari da ministro delle Infrastrutture. Alla fine, Salvini lascia la sala prima del tempo. "Così non va, proprio non va", si infuria. Distanze sul merito, certo. Ma è ovviamente la politica a guidare. E a far prevedere che la battaglia, nel centrodestra, è appena cominciata.

Sardegna, Meloni infuriata dopo sconfitta Truzzu: i leghisti hanno votato Todde

Dallo spettro di una prima sconfitta della presidente del Consiglio bisogna partire. La reazione a caldo della leader è quindi: comunque vada, non è successo niente. A chi la ferma, prima del consiglio dei ministri, dedica al massimo una smorfia di indifferenza. Uno scudo indossato per non pagare da sola il prezzo politico di un candidato debole imposto personalmente a Salvini, a costo di pubblica mortificazione. Per mettere in sicurezza la situazione, fa anche di più: riunisce a pranzo il segretario della Lega e Antonio Tajani. E lo fa impostando questo messaggio: "Se Truzzu perde, significa che ha perso tutto il centrodestra — il senso dei suoi ragionamenti, riferiscono — Non ditemi che Solinas avrebbe fatto meglio". Calmi e niente polemiche, insiste.

Fin qui, la propaganda. Certo, Salvini annulla la partecipazione alla trasmissione di Nicola Porro, prevista per la sera. Ma la realtà è che Meloni è più che irritata: è nello stesso tempo furiosa con l’alleato e preoccupata dall’imminente futuro. Il voto disgiunto non spiega da solo un risultato deludente, ma certo a Palazzo Chigi prevale la convinzione che i leghisti abbiano votato per Todde. È quella "lealtà" che aveva chiesto a porte chiuse ai partner. E che rinfaccia al vicepremier durante il pranzo, senza sconti: alla fine, Truzzu avrà almeno cinquemila voti in meno rispetto ai consensi raccolti dalle liste. Uno scarto risultato decisivo.

Salvini lascia il cdm: "Così non va", e prepara una strategia di logoramento

Ma c’è di molto peggio, in queste ore. La destra si prepara alla battaglia intestina. Salvini, sospinto dai suoi, imposta a tavolino una strategia di logoramento ben precisa. Con un’escalation che dovrebbe durare fino alle Europee. Il primo assalto sarà ovviamente lanciato sul terzo mandato, quello caro a Luca Zaia per ottenere la riconferma da governatore. Quello che Salvini ha preteso per settimane, inascoltato. Tra qualche giorno l’Aula del Senato deve esprimersi sull’emendamento padano. Palazzo Chigi ha già deciso come reagire: se la Lega non dovesse frenare, il governo metterà la fiducia sull’intero provvedimento, impedendo che i senatori del Carroccio possano esprimersi. Uno schiaffo, una sfida al cuore del Carroccio.

Questa è l’aria che tira. Per non parlare del dibattito sulle ragioni del risultato. Nella prima cerchia meloniana, l’idea diffusa — che nessuno nasconde, e anzi in diversi veicolano — è che anche la vicenda delle manganellate di Pisa agli studenti abbia inciso, in qualche modo. Spostando consenso. Meloni sarebbe irritata, dunque. E lo sarebbe non per l’incidente di piazza, ma per le parole pronunciate da Sergio Mattarella a poche ore dall’apertura delle urne, nel giorno del suo primo G7 presieduto da presidente del Consiglio.

Tensione alta, altissima. E la sensazione che qualcosa stia cambiando. La prima preoccupazione arriva dalle prossime regionali. Il 10 marzo si vota in Abruzzo — dove corre un meloniano come Marco Marsilio — poi in Basilicata: sembravano due partite chiuse, ma adesso? Non è un caso che già oggi si riunirà il tavolo per le candidature della destra, visto che c’è da decidere ad esempio il nome per le comunali di Cagliari. La casella è pretesa da Salvini, ma è evidente la strada della Lega è in salita.

E poi c’è la corsa più importante: quella di Meloni alle Europee. Il vantaggio della premier è quello di aver già comunicato ai suoi che non scioglierà la riserva prima di aprile. Potrà pesare i sondaggi, nel frattempo. E valutare i contraccolpi del voto sardo. La verità è che Meloni teme di sbilanciare ulteriormente il governo, scendendo in campo. E ha paura di non ottenere le percentuali sperate per potere cantare vittoria. Ma di una cosa si dice certa, anche nei ragionamenti privati delle ultime ore: se Salvini alzerà il tiro, se nei prossimi tre mesi proverà a colpirla, se giocherà al logoramento, lei reagirà candidandosi. Poi, conti alla mano, deciderà se proseguire a Palazzo Chigi. E soprattutto, come ridisegnare gli equilibri dell’esecutivo. Non certo a favore di Salvini.

Fonte: Repubblica

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