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Vermi, farine di grilli e carne sintetica non sono buoni e non fanno bene: sono il solito megabusiness

E' partita la grancassa: scriba, propagandisti, servi a cantare le lodi di questi nuovi alimenti che generano repulsione. Ma siamo già al condizionamento mentale, dal verme nella pasta alla pasta nei vermi

10 Gennaio 2023

Farina di grilli

Il nuovo anno si è aperto con l'ennesima grancassa europea: la pasta alle larve è squisita, chi non trangugia farina di grilli è un reazionario, un nemico dell'umanità. “E' buona e fa bene”, come un tempo la pubblicità del lassativo. Non proprio buona, tanto meno invitante, e che faccia bene lo può dire Bill Gates e tutta la cosca che di tanto in tanto si inventa un business miliardario, oggi i pannelli solari, domani i vaccini, poi l'auto elettrica, poi i vermi per ragù. Ma se la gente ancora gira con la mascherina, ecco l'esperimento propedeutico, può anche indebitarsi per un'automobile che non riuscirà a permettersi e può avvelenarsi con cimici, mosche ed altri alimenti che vanno bene per i pesci. Non mancano i leccaculo, gli stessi dei vaccini e dei greenpass, gente che trova urgente farti sapere via social che la pasta agli scarrafoni l'ha provata ed è buonissima: al che si potrebbe rispondere, buon per te, sfondati pure e lasciami in pace. Invece questi vogliono imporla a tutti, secondo credo comunista per cui lo stato o il sovrastato è l'unico titolato a decidere delle tue preferenze. “Lo faccio per il tuo bene”, come quando i genitori ci punivano da piccoli. In realtà, basta aver praticato un po' di rudimenti del liberalismo, per il nostro bene lo stato non fa niente: fa tutto per il suo di bene, questo sì, ma a discapito dei cittadini. E quando lo stato escogita una novità, si può star certi che l'ha concepita per spremere la collettività.

La depredazione sistematica si unisce all'intento pedagogico: “La pandemia” scriveva il vergognoso ministro della Salute, Speranza “è una ottima occasione per ricreare la società in senso gramsciano”. Oggi, affievolita quell'emergenza (ma sempre pronti a risfoderarla), il lavaggio del cervello si pratica con la dieta, e la tutela del pianeta è solo uno stravagante pretesto: solo chi è alienato o suggestionabile a livelli psichiatrici può pensare che rimpinzandosi di bruchi salverà la terra così come fare a meno dei condizionatori avrebbe salvato l'Ucraina (Draghi dixit, ricordate?). La verità, ovviamente, è più prosaica. Dietro il business delle carni chimiche, degli alimenti in genere sintetici ci stanno i soliti, in particolare l'ex padrone di Microsoft che ci pensa già da sei anni – poi l'affare è stato congelato perché c'era da spingere la vaccinazione planetaria. Ha cominciato con investimenti mirati, piccoli interventi da alcune decine di milioni di dollari, quindi ha allargato le ambizioni e le proporzioni: 25 miliardi di euro da qui al 2030, per lo più forniti dall'Unione Europea della baronessa Ursula. La stessa che, si mormora a Bruxelles, ha colto con malcelato fastidio il primato, anche quest'anno, della cucina italiana nel mondo. La gastronomia, oltre ad essere un potente volano turistico e un fattore culturale primario, è un elemento identitario decisivo, un popolo è quello che mangia e l'Italia, con le sue paste, gli olii, i caci, è il paese mediterraneo che meglio di tutti ha saputo cavare meraviglie da una cucina povera e popolana. Tutto questo deve sparire. Così come l'etnia nazionale, in sé bastarda, figlia d'incroci, va gradualmente annullata tramite massicci afflussi dall'Africa, come la grande tradizione motoristica nazionale va rinnegata, insieme all'alta moda (pochi mesi fa si sostenne che l'eleganza di sartoria “era nociva per il clima”...), allo stesso modo il cibo come retaggio comune deve sparire. Tutto ciò che lega l'Italia, paese mai unito, mai diviso del tutto, va cancellato. Il buon gusto, la buona tavola, forse l'ultimo vanto nazionale nel mondo, deve essere ucciso. Questa la autentica, se non unica missione dell'astrazione europeista le cui facce abbiamo appena visto, sorridenti e tronfie come sempre, nella commemorazione dell'euroburocrate David Sassoli; c'era pure Romano Prodi, quello che prometteva, “con l'euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno in più”. Come sia andata a finire è chiaro a tutti e uno capace di simili previsioni dovrebbe essere esposto alla pubblica gogna come ciarlatano e imbroglione, ma Prodi nel frattempo ha spostato il raggio dei suoi interessi in Cina, dove i diritti umani magari lasciano a desiderare ma, sapendo come muoversi, di soldi ce n'è per tutti.

La carne sintetica, gli alimenti algoritmici fanno male e si sa, ma non è lecito dirlo, allo stesso modo dei vaccini; per i social improvvisamente è tutto un brulicare di vermi nei piatti e chi non è d'accordo rischia il bando in fama di oscurantista, devastatore del clima, “qualunquista e fascista”, come diceva Brenda, il travestito di Alberto Lionello. Resistere sarà dura. Noi siamo convinti delle qualità della nostra cucina, ma sottovalutiamo l'impatto mediatico che è già in moto e che presto si farà ossessivo, insopportabile, insostenibile, come già abbiamo visto in altre, recenti, occasioni. Sottrarsi sarà pressoché impossibile, il terrorismo mentale, morale diverrà spietato. Non vedete che già adesso siamo alla rivoluzione copernicana, se trovare un insetto in un alimento era uno scandalo e uno schifo che determinava proteste, denunce, scuse contrite del commerciante o del ristoratore, oggi siamo già al must, dal verme nella pasta alla pasta nei vermi? È l'ennesima crociata demoniaca di una Unione Europea che, per diretta ammissione, ha fallito il possibile e l'impossibile nei suoi trent'anni di (mala)vita: con il risultato di sentirci dire che “ci vuole ancora più Europa”. Ora, finché lo dice Mattarella, la cui sconoscenza in termini scientifici e climatici è leggendaria oltre qualsiasi evidenza, poco male, si fa per dire. Ma quando la stessa giaculatoria passa per la bocca di Giorgia Meloni, il premier di destra che doveva spezzare il conformismo egemone della nuova sinistra neo o post marxista, c'è di che lasciarsi cadere per terra le braccia e non solo quelle.

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