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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Anche il Papa se n'è accorto: l'accoglienza all'italiana non è sostenibile

Ma continuerà perché è un affare colossale, per la politica come per la chiesa, e perché è l'ultima arma a disposizione di una sinistra perdente nel paese, ma ancora in grado di dettar legge nella sudditanza di una destra succube e inetta

08 Novembre 2022

papa Bergoglio

Da una parte loro, gli umanitari col culo degli altri, gli accoglienti per procura, che fanno facile letteratura: tutti dentro, i confini non esistono, casa è dove metti il cappello la nazione è un'astrazione ma chi sbarca ne ha diritto. Dall'altra tutti gli altri, infamati come mostri, cannibali, criminali, stragisti. “Vergognatevi!” gracchia il sindaco fiorentino Nardella, la cui città è una Casbah dal cui centro aveva cacciato le bottegucce etniche in odor di terrorismo. Miserabili, fate schifo, feccia meloniana, latrano gli altri della sinistra consapevole: chi non accoglie è “obiettivamente fascista”, come piace dire a questo Sansonetti, un comprimario dell'informazione invecchiato all'ombra del PCI, di quelli garantisti nel seguente modo: sei una miseria umana, uno scarto del Ventennio ma io ti faccio parlare lo stesso. Ma siccome non c'è bisogno delle patenti di Sansonetti, parliamone in libertà. L'accoglienza perenne e senza condizioni non esiste, non si dà in natura e neanche in politica. Si erano illusi gli stati del nord Europa socialdemocratico e progressista, sono stati fagocitati dal loro stesso inesorabile scivolare nel populismo postmarxista, sempre un po' marxista: la causa degli ultimi, dei diseredati, dei discriminati, col bel risultato che il Belgio è divenuto un possedimento islamista, come prevedeva puntualmente Giovanni Sartori, la Germania fa titolare i suoi giornali di regime “Non ne possiamo più”, riferiti ai migranti, gli altri paesi nordici, dalla Danimarca alla Svezia alla Norvegia, travolti da una immigrazione sempre più balorda, refrattaria, indisposta ad adattarsi, non si dica integrarsi, hanno deciso per il giro di vite: rimpatri, muri, deportazioni in galere estere, fili spinati, manganelli e mitragliate. Tutti governi di sinistra, spesso con donne presidente. Resta l'Italia, eternamente strangolata dai ricatti umanitari, da una Europa che le scarica addosso il peso di 30 anni di accoglienza impossibile. Ma perfino questo papa si è svegliato dal lungo sonno ideologico, ha detto che l'Italia da sola non può farcela, che arginare sbarchi indiscriminati non è disumano, che serve una politica comune sia di salvataggio che di smistamento, fino all'inserimento. Cioè il libro dei sogni, stracciato in ogni pagina dalle escandescenze di sbandati, trafficanti, trapper malavitosi di origine nordafricana che si filmano mentre maledicono l'Italia ospitante.

“Assassini, criminali, i bambini a bordo, l'occhio delle madri”: sembra la riedizione della corazzata Potemnkin di Fantozzi. Ma i flussi migratori sono, come chiarito da una fra le massime conoscitrici del fenomeno, Anna Bono, per la stragrande maggioranza composti da elementi giovani, maggiorenni, che non fuggono da alcun conflitto ma tentano la fortuna dove ritengono di trovarla: paragonarli, come fa qualche giornalista cretino, ai nostri emigranti di inizio secolo scorso è cialtronesco perché l'immigrazione italiana in Argentina o in Belgio era tutto l'opposto, forza lavoro richiesta e assorbita senza tanti complimenti, nelle forme e soluzioni le più brutali. Qui i clandestini delle ONG rifiutano il cibo, si lanciano in mare, gli danno psicologi “di sostegno”, se delinquono non pagano, appena sbarcati proclamano: adesso mi dovete dare tutto. E lo ottengono, spesso, anche a discapito degli italiani poveri, considerati, in modo grottesco, complici dello sfruttamento secolare: non lo sostiene tanto chi scrive ma il sociologo Luca Ricolfi nel saggio appena uscito “La mutazione”, dove incolpa la sinistra, cui pure appartiene, di tartufismo e di irresponsabilità.

Ricolfi, cui nessuno impone di sentirsi legato a un contesto giudicato infimo, sa bene che tutto questo circolo di potenti o anche di vorrei ma non posso, dell'accoglienza e dell'umanità se ne fotte beatamente: non hanno mai mosso un dito, né politicamente, né socialmente, né come individui, la loro soluzione essendo: tutti dentro e che si arrangino. I sacri migranti in realtà loro li disprezzano, non li vedono come “persone umane”, se mai pedine della rivoluzione mancata, sono gli strumenti senz'anima teorizzati a inizio secolo da Toni Negri: se la dittatura del proletariato è fallita, essendosi il proletariato imborghesito tramite la robotizzazione delle fabbriche e la tecnologia distraente, ebbene facciamo la dittatura dei migranti: solo loro possono destabilizzare e infine distruggere le società avanzate, post capitaliste. Un pericolo sottovalutato a lungo, ma infine affrontato nel modo più brutale e proprio da sinistra, come si diceva. Con l'unica eccezione italiana. La sinistra salottiera e cinica predica l'assimilazione ma confida nel contrario, generazioni di introdotti che non si adeguano, che finiscono per minare da dentro le società che li accolgono fino a sopprimerle imponendo i propri canoni, codici, approcci, pretese: ancora Giovanni Sartori. Non sfuggirà a nessuno l'imbarazzo malcelato della sinistra parolaia quando una giovane di famiglia islamica viene trucidata dai suoi stessi parenti perché incline a stilemi e sensibilità occidentali: è la clamorosa sconfessione delle loro teorie multiculturali e accoglienti, ed è, allo stesso tempo, un altro elemento di distruzione della società occidentale tenuta all'accoglienza a vita. Infatti, puntualmente, tacciono. Garruli come sono di solito, qui fanno finta di niente. Oscillano tra prudenza tattica, indifferenza morale e, nei casi più rivoltanti, malcelata soddisfazione.

“Siamo tutti responsabili, l'accoglienza è un dovere di ciascuno”. Perché mai? Queste sono formule retoriche, confessionali, le può recitare un ecclesiastico di quella Chiesa in prima linea nel colossale affare dell'accoglienza. Ma vescovi e politici possono dire quello che vogliono, la sostanza non cambia: non c'è un obbligo certificato, sulla base di stralunati sensi di colpa per uno schiavismo attribuito “all'occidente”, senza distinzione, così come lo si incolpa dei cambiamenti climatici o dello stragismo islamista che sarebbe la nuda reazione al bellicismo euroamericano. Se le cose stanno così, allora ogni comunista attuale dovrebbe uccidersi per le purghe di Stalin, Mao, PolPot, che tra l'altro sono molto più recenti.

Ma siamo seri, torniamo seri. A nessuno sfugge che le rotte delle ONG si sono concentrate tutte, magicamente, con la sincronia di un corpo di ballo, sull'Italia costiera all'indomani dell'avvento della destra al potere: Catania, Lampedusa, Roccella Jonica, eccetera. Quattro, cinque navi al giorno, cariche di individui che, ancora un segreto di Pulcinella, non fuggono di loro iniziativa ma vengono prelevati fin nelle loro abitazioni e stipati su queste truci carrette (oppure pagano fior di soldi per il viaggio, quindi ne dispongono). E il motivo è chiaro a tutti, ed è chiaro da 30 anni: c'è intanto un giro colossale di affari legato alla tratta, come diceva Massimo Buzzi, il trafficante legato al PD al telefono con l'ex terrorista nero Carminati: “Coi negri si fanno più soldi che con la droga”. E c'è l'affare ancora più grosso, l'attacco al governo attuale a mezzo di afflussi sincronici, che fanno molto comodo alla sinistra sconfitta al voto.

Tutti dentro? Certo, lo può dire, conviene dirlo, a qualche erediteria della griffe umanitaria. Ma in nome di che? Si resta esterrefatti a sentire certe maestrine progressiste in fama di liberali mentre predicano: le norme, i trattati, dicono che ogni migrante a prescindere deve essere accolto dall'Italia perché sì. Se le norme sono queste (ma le cose non stanno così), allora è doveroso violarle. Se la soluzione è farsi dettare legge dalle ONG complici della tratta, allora conviene non farle più nemmeno avvicinare. Se a comandare davvero deve essere la Carola Rackete di turno, meglio sbaraccare le frontiere. Cinquecento, seicento, mille sbarchi al giorno e ogni volta che si cede su una nave le altre pretendono identico trattamento. A fronte di una tale situazione, che mette in pericolo il governo appena nato, Giorgia Meloni che fa? Democristianamente decide di cedere su tutta la linea. Manda Piantedosi a trattare la resa graduale, ma incondizionata e se ne scappa in Egitto a baciare la pantofola dei mammasantissima del Cop 27. “Ci impegnamo a ridurre le emissioni del 55% da qui al 2030, ne va dell'esistenza del pianeta” dice donna Giorgia già in treccine. Ed è una sonora scemenza, l'85% delle emissioni le scatenano India e Cina, assenti al Cop 27. Come a dire: in una damigiana di veleno, la colpa è del mio bicchiere, tolto quello siamo salvi”. Certo, se sei a caccia di accettazione, di legittimità, va benissimo. Se invece vuoi dire qualcosa di scientificamente fondato allora no, non funziona. Dicono che la Giorgia sia una che studia, che sgobba, si prepara: se i risultati sono questi, meglio la piddina-tipo, che almeno si forma su Zerocalcare e non perde tempo a studiare invano.

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