04 Novembre 2022
“Momenti difficili richiedono leader forti”. Così Viktor Orban ha celebrato la vittoria di Bibi Netanyahu. Tra i due c’è un’antica amicizia cementata da una comune visione del mondo, da un simile destino da leoni alla testa di paesi orgogliosi, indomiti e quindi spesso scomodi e isolati e la consapevolezza che un filo invisibile lega le sorti di una internazionale conservatrice che forse non sa nemmeno di esistere ma che è sicuramente ben presente nelle ossessioni e nel mirino dei sedicenti Dem, le anime belle del globalismo e del “cancel culture”.
A mio avviso l’internazionale di sinistra (questa sì consapevole di sé e capillarmente organizzata) ha (ca)usato la pandemia e il collasso ecomonico-sociale che ne è conseguito al fine di realizzare la seconda ondata di primavere arabe/rivoluzioni colorate ma stavolta in Occidente. Obiettivo non più Gheddafi, Mubarak e tangenzialmente Berlusconi, ma Trump e alleati che avevano inaugurato una stagione di pace, ordine e stabilità globale mai viste prima (si pensi agli Accordi di Abramo che col premio Nobel Obama erano addirittura non immaginabili).
Abbattuto Donald, le manipolazioni e il solito uso spregiudicato dell’apparato mediatico-giudiziario hanno colpito Netanyahu e gli altri leader conservatori a seguire. Il lavoro avrebbe dovuto essere completato facendo fuori Orban, ultima e importante pedina del sinistro domino, ma la tenuta del Viktor d'Ungheria non solo ha fatto inceppare il piano ma ha dato il via alla “reconquista” (o se preferiamo il “rollback”) delle destre con alcune tappe importanti come Svezia e Italia. Ero a Budapest la notte del 3 aprile di quest’anno e ricordo bene la tensione nell’aria. Nervosismo non tanto degli ungheresi che confidavano di farcela contro un’accozzaglia che univa comunisti, Dem e neonazisti di Jobbik messa in piedi da Bruxelles per battere Orban, ma del resto del conservatorismo europeo. C’era la consapevolezza che quello era, ancora una volta, l’ultimo baluardo. La caduta di Budapest nel 2022 sarebbe stata per l’Europa della tradizione, mutatis mutandis, qualcosa di simile alla caduta di Vienna nel 1683 se le armate cristiane guidate dal re polacco Giovanni Sobieski e Eugenio di Savoia non fossero arrivate all’ultimo minuto a salvare la città e con essa la cristianità. E d’altra parte, per venire a tempi più recenti, coloro che tramavano contro Orban erano gli stessi che nel 1956 da Roma, Berlino e Parigi, supportavano l’invasione sovietica e incitavano l’Armata Rossa a massacrare studenti e operai ungheresi. Per quel che riguarda la posizione italiana di allora rimangono indelebili nella memoria magiara le bellissime parole della canzone “Avanti Ragazzi di Buda…” cantata da Orban e Meloni ad Atreju 2019 ma anche gli odiosi e colpevoli pezzi de “L’Unità” organo del PCI e poi del PD, dove i vertici del Partito Comunista Italiano (poi diventati pezzi da novanta del PD) bollavano i ragazzi ungheresi che chiedevano libertà come “controrivoluzionari” e spronavano i carri armati russi a schiacciare quei giovani e i loro sogni.
Non a caso pochi giorni fa, nei giorni del triste anniversario, Viktor Orban, ha ricordato che “Se l’Occidente non ci avesse tradito per la seconda volta dopo il 1945, la battaglia di libertà degli ungheresi avrebbe potuto essere vinta!”.
Vista dall’Italia la cosa più incredibile e insopportabile è sentire quei personaggi nostrani ex comunisti riciclatisi in Dem, accusare Orban e gli ungheresi di collusione coi russi.
Loro, quelli che da un comodo divano a Roma e Milano hanno tifato per i massacratori dell’Armata Rossa, osano accusare l’attuale premier magiaroche ebbe il coraggio di salire su un palco, in Piazza degli Eroi, per chiedere, o meglio per intimare la ritirata dei sovietici dall’Ungheria. Inconcepibile.
Come inconcepibile che questi personaggi e i loro sodali della sinistra globale oggi pretendano di mettere il becco nella formazione del governo israeliano decidendo chi può e chi non può fare il ministro. Si sono abituati troppo bene, spadroneggiando in Italia e in altri paesi del sud Europa senza mai passare per le elezioni. Sempre perdenti, sempre contro il popolo, ma sempre al potere. Ecco: la vittoria di Orban è stata la loro battaglia di Poitiers. Pensavano di spazzare via l’ultimo ostacolo, ma quel bastione ha resistito e da quella trincea d’Europa l’internazionale conservatrice è ripartita alla Reconquista, paese dopo paese. Prima la Svezia, ormai sull’orlo dell’islamizzazione, poi la ben più importante Italia e poi Israele. Interessante, a tal proposito, notare come i primi due leader stranieri ringraziati dal neo-premier israeliano sui social siano proprio Orban e Meloni.
Naturalmente la vittoria di Netanyahu (visto anche il legame con Trump entrato nella storia con gli Accordi di Abramo) pesa più di altri, pesa tantissimo su tanti scacchieri della geopolitica, dal Medioriente, alla questione russo-ucraina, al Mediterraneo (pensiamo anche alla questione energetica e al progetto EastMed di cui discussero a Gerusalemme Netanyahu e Salvini) e dà energia ai trumpiani americani per lo sprint finale. Se anche in America i Dem/Antifa/BLM saranno ridimensionati si aprirà una nuova e migliore stagione nella politica mondiale.
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