03 Novembre 2022
Pochi come siamo tra commentatori insofferenti, sottratti al Giornalista Unico del regime morente, ci siamo trovati tutti d'accordo sulla questione dei cialtroni di sinistra che hanno riscoperto il garantismo estremo dopo anni di stato concentrazionario. Apparentemente il nostro discorso filava, i voltafaccia, e che faccia, dei clown ieri talebani oggi libertini sono imbarazzanti o lo sarebbero se certa gente fosse provvista del senso del ridicolo: Conte, il Pinocchietto foggiano, che costrinse tutti agli arresti a mazzate di DPCM; Galimberti, il filosofo delle idee altrui, ma sballate; Erri de Luca, quello che scrive con la rivoltella come ai bei tempi del servizio d'ordine di Lotta Continua, da lui comandato; Alex Zan, il papi della legge, sempre in rampa di lancio, più liberticida di tutti i tempi, andando a scavare nel libero pensiero, la cui definizione verrebbe demandata a un giudice, auspicabilmente toga arcobaleno; e tanti, tanti altri Madamadorè, di colpo riconvertiti: per mesi feroci in favore delle chiusure e della galera a vita per chi non si vaccinava, adesso furibondi in favore di strafattoni, sballoni, fannulloni e perditempo a vita (e a reddito di cittadinanza). Tutto evidente, lampante, inevitabilmente condivisibile. In apparenza. E invece no. Perché a sbagliare siamo noi, i Pinocchietti rossi sono perfettamente coerenti.
Pensiamoci solo un istante. Cosa pretendevano questi, cosa pretendono ancora sempre da tre anni? Il buco obbligatorio, lo shot perenne, il Trainspotting vaccinale; e cosa difendono da sempre e per sempre? La baldoria tossicona, dove si smercia di tutto, dagli alcoolici alla coca, l'eroina, il crack, il fumo, le anfetamine, le pasticche di exstasy. Più coerenti di così...
L'intolleranza è per chi non si fa, per chi rifiuta di bombarsi, la sostanza in sé è secondaria; l'odio è per il “novax”, ossia per chi, anche dopo tre, quattro, cinque dosi viene maledetto in fama di untore se decide di fermarsi a un certo punto. La libertà è quella di farsi, una libertà che sa tanto di auspicio, di dovere etico ed estetico, il “disagio” palesato, esasperato come pugno in faccia al sistema, autocoscienza, sfida epica al regime. Se non ti adegui, rientri nella maggioranza silenziosa, come si diceva una volta, sinonimo di qualunquismo reazionario, ah, dunque a te sta bene questa fogna di stato autoritario, che ti proibisce la libertà di protestare: sei un fascista di merda. In questa prospettiva, prontamente recuperata dalla sinistra punita alle elezioni, la libertà è quella di spararsi in culo di tutto: basta chiamarlo diritto di riunione, legittimo dissenso, e ogni cosa va a posto: poi non c'è bisogno di specificare in cosa starebbe il dissenso “contro la repressione”, ossia l'effetto che determina la causa, né, tanto meno, che opposizione sarebbe quella di quel disgraziato con la testa tinta di rosso Cina che vagolava in stato confusionale dopo essersi percettibilmente cagato addosso; non serve distinguere tra il sacrosanto, intangibile diritto a trovarsi, a manifestare, e lo stralunato presunto diritto a: occupare una proprietà altrui, peraltro pericolante, riempirla di sfatta disumanità, arrivata con la sovrastruttura informale ma organizzatissima dei trasporti e degli ingressi, sollazzata con apprecchiature costosissime, non si sa bene da dove uscite, senza pagare uno solo di quei balzelli che, dalla Siae in poi, vessano qualsiasi evento normale, abbeverata in punti ristoro illegali, rifornita in un bazar fornitissimo di sostanze illegali, nel più completo disprezzo delle norme di sicurezza (che dopo Corinaldo si sono fatte pressoché insostenibili per gli organizzatori seri, che operano in grazia d'Iddio e delle leggi). Il tutto bloccando la viabilità, paralizzando il traffico, pregiudicando la vita della collettività, senza contare le conseguenze accessorie. Un anno fa, in due rave due morti e almeno tre stuprate accertate - in quelle condizioni saltano le percezioni e pure le denunce; nel Viterbese, la strage di animali, portati dagli squatter strafatti, lasciati crepare sotto un sole cattivo senza acqua, senza cibo, senza ombra, la morte più orribile. Quella tenuta del Viterbese ne uscì devastata e i proprietari non solo non vennero risarciti, ma furono obbligati a riparare tutto a loro spese e gli andò ancora bene se lo stato non gli spedì qualche multa accessoria. Mentre i balordoni venivano scortati come divi del cinema o popstar dalle forze dell'ordine a guida Lamorgese.
Non si può, onestamente, accusare la sinistra di incoerenza in questa corrispondenza d'amorosi sensi per lo sballo: al contrario, nella fase, tribolatissima, della ridefinizione delle proprie istanze identitarie (si legga il nuovo saggio in uscita di Luca Ricolfi, “Mutazione”), il favore per farabutti, spacciatori, intossicati, ladri siano di case, di capannoni, di cose, di cose di altre case, il sostegno alla loro impunità è forse l'unico elemento rimasto vivo, l'ultimo anello di congiunzione fra il populismo rivoluzionario otto-novecentesco e la fase di completa accettazione del globalismo finanziario attuale. Prova ne sia l'intera espressione legata alla pandemia: su questo sito si raccontava ieri l'anteprima di un documentario, “Died Suddenly”, in uscita il 21 novembre prossimo, che indaga sull'inquietante esplosione di morti improvvise a partire dalle campagne vaccinali nel mondo: numeri impressionanti, decessi saliti del millesettecento percento, accidenti cardiaci del duemila percento, dati soffocati dalle autorità “competenti”, “gli adulti sani stanno morendo in tutto il mondo”, per non dire dei guai ai ragazzi e fino ai più piccoli, e poi le testimonianze degli scienziati (veri, non i buffoni da varietà italico), dei rianimatori, degli imbalsamatori che hanno trovato corpi esplosi, devastati. L'autore, Stew Peters, non può parlare di correlazione conclamata, di rapporto causa-effetto, e non lo dice, si ferma sulla soglia della coincidenza, certo però che le circostanze, le ricorrenze sono spaventose. Ma che dice la sinistra autoritaria? Si tappa orecchie e occhi, non bocche, e prende a latrare pur di non sapere. Ieri l'altro giuravano sul vaccino che impediva il contagio, ieri si è dovuta correggere, presa in contropiede dalla vice di Bourla, il capo di Pfizer, che al Parlamento Europeo con una risata sprezzante ha raccontato la totale noncuranza per i test sul contagio in funzione della fretta affaristica: ah, ma noi l'avevamo sempre detto che il vaccino non serviva a non contagiare (e allora a cosa, di grazia?); oggi è subito tornata alla versione originaria, gli infami medici novax restino confinati altrimenti contagiano. E se fai notare che vax o novax il contagio gira uguale, ti rispondono: zitto, fascista. Con lo stesso furore con cui oggi sostengono le nullità strafatte da rave, ieri condannavano all'inedia, al confino, alla dannazione chi di farsi non ne poteva più, chi di continui shot ormai rigurgitava. E ancora lo fanno, e riescono ad armonizzare la apparente aporia senza sforzo. La dipendenza dalla chimica, sempre e comunque, al presidio vaccinale a forma di primula come al capannone pericolante a forma di rudere. L'ubriacatura di siero e quella da superalcoolico “antagonista”. Perché la dipendenza è sudditanza, la si può egregiamente addebitare al capitalismo, con le sue sperequazioni, ed è questa, sia come sia, la dimensione prediletta dalla sinistra autoritaria: non cittadinanza ma plebe, non diritti ma concessioni, non autonomia se mai punizioni. E allora, vai con la propensione al buco, la siringa con dentro qualsiasi cosa, meglio se non testata. La libertà è obbligo, l'obbligo è libertà, l'assuefazione allo stato e lo stato che consente il dissenso purché farneticante e illegale. Liberi di farsi, non di sottrarsi, l'indignazione contro il controllo dai sacerdoti del controllo. Si chiama falsa coscienza, ossia paraculaggine, l'aveva teorizzata Carlo Marx.
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