25 Agosto 2022
fonte: Imagoeconomica
SCRITTI PANDEMICI
Il Grande Risveglio
Da Volo di notte a Viaggio al termine della notte, una sintesi letteraria del nostro presente
“Non fosse per via delle albe, rimarremmo giovani tutta la vita. È proprio vero: invecchiamo all'alba. I tramonti sono deprimenti, ma ti preparano all'avventura di ogni notte. Le albe no. Alle feste, appena sento il silenzio dell'alba, mi viene uno struggimento che non mi dà pace in corpo. Bisogna andare via!” (Gabriel Garcìa Màrquez). Andare via, fuggire da questo distopico presente che attanaglia il mondo intero, cercare la salvezza individuale altrove, dato che quella collettiva è irraggiungibile.
Ho sperato nel Grande Risveglio. Nonostante i sei minuti di applausi a Mattarella, ho fatto ciò che potevo (ben poco) per risvegliare i dormienti. Ieri, standing ovation per Draghi: è di una chiarezza accecante che “bisogna andare via”. La festa è finita. Sapevo perfettamente che i miei famigliari, i miei amici più cari, i miei colleghi e i tanti conoscenti o semplicemente coloro che incontro tutti i giorni erano dei perfetti cretini. Il mio scrittore preferito è da sempre Richard Yates, The Easter parade mi ha ispirato – dieci anni fa - un racconto realistico e terribile sull’ottusità, l’ignoranza, la totale mancanza di sensibilità e di compassione che caratterizzano la maggior parte degli esseri umani. Del resto, cosa possiamo aspettarci da persone che guardano la televisione italiana, fatta di volgarità, propaganda, disinformazione e leccaculismo?
Perché dunque continuare a fare discorsi elevati? Soprattutto, per chi? Meglio prendere atto che non esistono i lettori che ci piacerebbe avere e smettere di scrivere. Così queste parole potrebbero essere un addio, sarebbe saggio che lo fossero. Parafrasando Antoine de Saint-Exupéry nel suo Volo di notte, noi scrittori, “Benché la vita umana non abbia prezzo, … operiamo sempre come se qualche cosa sorpassasse in valore la vita umana… Ma cosa?”: lasciare un segno del nostro passaggio, un’opera che sia testimonianza e testamento, perché in fondo questo ci si aspetta da un artista, che lasci una traccia del suo passaggio. Noi artisti siamo strani. Ci poniamo tante domande sul perché siamo vivi, sul senso di tutto questo sia dentro sia intorno a noi. E abbiamo paura della morte così cerchiamo di comunicare le nostre sensazioni, di lasciare una traccia del nostro passaggio. Siamo soltanto costruttori di ricordi, hardware che all’improvviso smette di funzionare e finisce in discarica: lo sappiamo bene e l’unica nostra ribellione è trasmettere le nostre memorie ad altro hardware.
E’ il desiderio di comunicare “noi siamo stati qui”, quello che ha spinto i nostri antenati a imprimere l’impronta della propria mano nelle caverne.
La festa è finita: l’acqua gassata scarseggia, le pasticcerie chiudono i battenti e tra poco mancherà persino la carta igienica (le cartiere sono tra le industrie più energivore).
Qualche perfetto cretino chiede a Mario Draghi un’ultima canzone, per ballare come Sanna Marin al ritmo indiavolato del transumanesimo malthusiano del dj Bill Gates.
Io provo “uno struggimento che non mi dà pace in corpo”. Sono sveglio, lucido e drammaticamente consapevole che il peggio deve ancora venire. Ma d’altro canto, il peggio è la mia unica speranza, l’unico barlume di speranza: “Perché nel cervello d'un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli.” (Louis-Ferdinand Céline).
Buona giornata, Italia.
di Alfredo Tocchi, Il Giornale d’Italia
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