23 Dicembre 2021
Se c'era ancora qualcuno che nutriva dei dubbi, ora quei dubbi non sussistono più. Nel discorso di ieri Mario Draghi si è candidato alla presidenza della Repubblica italiana. La sua "promozione" al Colle nel voto parlamentare di gennaio sarebbe una prima volta, un trasloco mai visto da Palazzo Chigi al Quirinale senza passare nemmeno dai box per un breve pit stop. Il premier si aspettava una candidatura esplicita da parte dei partiti della sua larghissima coalizione perché ritiene che il governo possa sopravvivere a lui con un altro nome di alto profilo o comunque suo fedele alleato. Con se stesso al Colle in funzione di garante imperituro e non esposto agli spifferi del 2023 che già iniziano a intravedersi all'orizzonte.
Così non è stato. I partiti non si sono esposti in maniera convinta per lui per i rispettivi giochi a specchi all'interno e all'esterno delle coalizioni in fase di rimescolamento e melting pot politico-identitario. Enrico Letta che tratta con Giorgia Meloni, Matteo Renzi e Matteo Salvini che si passano la palla come vecchi compagni di squadra, Silvio Berlusconi che prova a giocare la sua partita solitaria senza arrendersi a quella che assomiglia a un'evidenza: l'impossibilità di vederlo salire al Colle per la divisività del suo nome. E poi il Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte, che continua a non prendere palla come gli capita da ormai diverso tempo.
Ed ecco allora che Draghi ha rotto gli indugi e ha scelto di fare il grande passo da solo, provando a mettere i partiti all'angolo. Costringendoli a venire allo scoperto e accettare la sua auto candidatura al Quirinale. C'è un problema. La nuova ondata di contagi da Covid-19 è una patata bollente che nessuno vuole gestire e che tutti vorrebbero invece lasciare serenamente in mano a lui. SuperMario prova a rassicurare i partiti che preferirebbero non assumersi la responsabilità diretta di scelte ancora una volta impopolari, e dice che l'esperienza del governissimo può proseguire e ripetersi con un nuovo nome.
Magari Marta Cartabia, costituzionalista apprezzata anche dal centrodestra, oppure con Vittorio Colao, anche lui apprezzato un po' da tutti. Mentre per il Colle non si possono ancora escludere i nomi di Marcello Pera, Letizia Moratti e del sempre verde Giuliano Amato, tra gli altri in grado di unire tutto l'arco parlamentare ma partendo dal centrodestra come pare si voglia fare in questa occasione. Ma i partiti non sono convinti. La Lega, per esempio, pensa a sfilarsi. Errare umano ma perseverare è diabolico, direbbe qualcuno. Partecipare a un altro governissimo dall'interno mentre l'amica-nemica Giorgia Meloni dall'esterno può continuare a mietere consensi potrebbe non piacere come idea a Salvini.
Ed ecco che allora è tutto in discussione, con un problema grosso: come si fa a impallinare l'uomo appena incensato da Financial Times e The Economist?
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