18 Marzo 2021
Falcidiata dalla pandemia di coronavirus, ancora nella prima ondata, Brescia si è ritrovata suo malgrado protagonista in negativo anche della terza ondata con numeri che l’hanno trasformata in un caso nazionale. Una situazione difficile che sta mettendo a dura prova il territorio bresciano che, a questo punto, meriterebbe interventi ad hoc. Per questo il sindaco della città Emilio Del Bono ha scritto al premier Mario Draghi, invitandolo a prendere in considerazione l’idea di vaccinare prima nei territori che stanno vivendo le situazioni più complesse, come Brescia per l’appunto. Un’idea che ha una sua logica e che potrebbe funzionare una volta risolte tutte le problematiche di approvvigionamento ed organizzazione legate al vaccino, della quale abbiamo parlato con il sindaco della Leonessa Emilio Del Bono.
Brescia colpita fortemente nella prima ondata, sia in termini di lutti che di infezioni, ora a distanza di un anno si ritrova ad essere un caso nazionale per il numero di contagi. Come stiamo andando?
Non va bene. Siamo stati la provincia, con Bergamo, che ha pagato più cara la prima ondata in termini di decessi ed infezioni. Ed ora, a distanza di un anno, stiamo vivendo quella che per noi è la vera seconda ondata, purtroppo molto forte anche questa. Abbiamo 1.300 ricoverati e le rianimazioni sature al 90%. Per questo ho deciso di prendere carta e penna e scrivere al presidente del Consiglio Draghi: credo che ci debba essere una priorità vaccinale per i territori più colpiti. Bertolaso ha detto di concordare con noi: ora mi aspetto risposte celeri da Governo e, soprattutto, dalla Regione.
Vaccini fondamentali per tornare alla normalità ma tra il caso AstraZeneca e problematiche relative ad approvvigionamento ed organizzazione la campagna vaccinale non è partita come avrebbe dovuto. Secondo lei dove si è sbagliato?
Per quanto riguarda gli approvvigionamenti il problema, in primis, è internazionale, legato anche alle politiche Ue ma, per quello che concerne l’aspetto organizzativo, sicuramente ci sono state parecchie falle e dalla Regione ci saremmo aspettati qualcosa di più. Se è pur vero che è difficile dividere le responsabilità tra Governo centrale e Regione Lombardia, è altrettanto vero che è a quest’ultima che spetta l’organizzazione delle strategie e del sistema sanitario sul territorio. L’appunto che posso fare al governo centrale è legato, sin particolare, alla gestione della prima ondata: probabilmente la Protezione Civile è un po’ mancata, per esempio per gli approvvigionamenti di protezioni e bombole ad ossigeno. Tuttavia, quello che è fondamentale ora è dare un’accelerata alla campagna vaccini senza incappare in ulteriori frenate.
Si è domandato come mai proprio Brescia e la Lombardia siano stati i territori più colpiti?
Si e continuiamo a chiedercelo. In generale credo che sia successo qui perché la Lombardia e Brescia sono tra le aree più attive economicamente, con numerosi e continui scambi tra territori diversi che hanno facilitato il percorso del virus. Inoltre è una delle zone con più alta densità di abitanti ed anche questo è particolarmente rilevante. Poi ci sono le casualità. Brescia si è trovata circondata da focolai: ad ovest Bergamo, a sud Cremona e Lodi. Quando è stato deciso il lockdown il virus qui, ormai, aveva sfondato e, purtroppo, è andata come sappiamo.
Non solo coronavirus, Brescia, già alle prese con una situazione ambientale generale non semplice, si è risvegliata con l’incubo dell’ex Caffaro, una bomba ecologica in mezzo alla città che è tornata prepotentemente a fare preoccupare e che deve essere risolta. A che punto siamo?
Purtroppo abbiamo ereditato un impianto chimico dei primi ‘900 interno alla città che, come tutti sappiamo, ha inquinato i terreni circostanti e la falda acquifera. E’ un problema grave e di non facile soluzione: serve bonificare, questo è certo. La nota positiva è che rispetto al passato ci sono le risorse: 70 milioni che serviranno per la messa in sicurezza del sito industriale. Parallelamente in questi anni è stato svolto un importante lavoro di bonifica pubblica, da parte nostra, di tutte le aree verdi circostanti la zona.
Il Pd, il suo partito, sta vivendo un momento difficile, sia in termini di consensi elettorali che di equilibri interni. Enrico Letta, recentemente eletto segretario, è la persona adatta per un nuovo corso che porti ad una linea politica più definita, come viene chiesto a più voci dall’area di centrosinistra?
Letta è certamente un politico solido e capace, culturalmente preparato ma , soprattutto, una persona seria e preparata. Certo è che quella che lo attende è una sfida difficile: il Pd è compresso tra le destre molto forti dal punto di vista dei consensi ed il Movimento 5Stelle che, con la guida Conte, punta a divenire nuovo punto di riferimento del centrosinistra. Un momento certamente non facile in cui è fondamentale fare una politica che non sia retorica e che abbia una linea definita: che guardi allo sviluppo del Paese e certamente europeista. Solo in questo modo si possono sconfiggere le destre ed il loro modello di autarchia populista.
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