Sudan, Ue si sveglia e impone "sanzioni" contro numero 2 delle RSF: "Cessate il fuoco e stop traffico armi", ma nessun riferimento a Emirati Arabi
Con una dichiarazione congiunta dei 27 ministri degli Esteri, l'Ue si esprime "timidamente" sulle misure restrittive contro Abdelrahim Hamdan Dagalo, fratello del leader delle RSF. Intanto però nessun riferimento esplicito agli Emirati Arabi Uniti, principali esportatori di armi nel Sudan (armi anche made in Ue)
"L'Unione Europea condanna con la massima fermezza le gravi e continue atrocità perpetrate dalle Forze di Supporto Rapido in Sudan, anche dopo la presa della città di Al Fashir".
Sudan, Ue si sveglia e impone "sanzioni" contro numero 2 delle RSF: "Cessate il fuoco e stop traffico armi", ma nessun riferimento a Emirati Arabi
Comincia così la dichiarazione presentata ieri, 20 novembre, dall'Alto Rappresentante della Commissione Europea a proposito delle atrocità commesse e ancora in corso nella regione sudanese del Darfur, dove dopo la presa di Al Fashir da parte delle Rsf guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, la crisi umanitaria è ulteriormente precipitata. Dopo continue denunce da parte di associazioni umanitarie, e persino di Al Qaeda, l'attenzione internazionale si sta progressivamente concentrando sul fronte sudanese, anche a seguito delle ultime dichiarazioni rilasciate da Trump a margine del recente bilaterale con Bin Salman.
Così ieri l'Unione Europea è finalmente intervenuta sul conflitto, adottando delle "misure restrittive" contro Abdelrahim Hamdan Dagalo, "il numero due delle RSF" dopo il generale capo Mohamed. Nella dichiarazione pubblicata dal Consiglio Affari Esteri Ue, le sanzioni sono rivolte anche a "tutti gli attori responsabili di destabilizzare il Sudan e ostacolare la sua transizione politica". In un contesto politico-diplomatico in cui ancora non viene usato ufficialmente il termine "genocidio" per indicare le indiscriminate uccisioni di massa, gli stupri, l'uso della fame come strumento di guerra, e l'impossibilità di accedere alle zone colpite da parte degli aiuti umanitari, l'Ue fa le sue prime, timide mosse.
Assicurando di "intensificare il proprio sostegno alla documentazione e all'indagine di tali violazioni" e di "promuovere l’estensione del mandato della CPI e dell’embargo sulle armi a tutto il territorio del Paese", l'Ue chiede lo stop alla fornitura di armi "e materiale correlato", sollecitando al rispetto degli embarghi disciplinati dalle Risoluzioni Onu 1556 e 1591. Non solo: è fatta richiesta di nuovi negoziati per un cessate il fuoco "immediato e duraturo", garantendo la collaborazione europea con partner internazionali. Nonché sono chieste "misure concrete per proteggere i civili, inclusi operatori umani e sanitari, organizzazioni di base e soccorritori locali". La dichiarazione europea si assicura inoltre che un "passaggio sicuro" venga garantito a quei civili desiderosi di lasciare Al Fashir e altri nuclei urbani assediati; che le Nazioni Unite restino in modo permanente nel Darfur "e in altre aree al di fuori del controllo delle SAF", e che non vengano imposte "tasse o oneri amministrativi agli operatori umanitari".
L'Ue dunque si impegna ad intensificare gli sforzi nella regione, garantendo "la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale del Sudan" il cui processo politico può essere guidato - continua la dichiarazione - solo dagli stessi sudanesi. Parole importanti, e finalmente una "chiara" presa di posizione, sebbene però non vi sia alcun taglio netto con gli Emirati Arabi Uniti, i principali fornitori di armi (anche di fattura europea) alle RSF. E dopotutto, solo pochi giorni fa, l'ambasciatore sudanese presso l'Ue, Abdelbagi Kabeir, l'aveva denunciato chiaramente: "l'Ue dovrebbe valutare l'equilibrio morale rispetto alla bilancia commerciale", riferendosi chiaramente alla indiretta complicità nel "genocidio" sudanese.