Il Parlamento europeo invita Stati membri a riconoscere Stato di Palestina: risoluzione storica e nuovo capitolo nella relazione Ue-Medio Oriente

"Gaza al limite: l'azione dell'Ue per combattere la carestia, l'urgente necessità di liberare gli ostaggi e procedere verso una soluzione a due Stati", questo il titolo della risoluzione storica approvata ieri che segna un nuovo capitolo nelle relazioni diplomatiche europee con il Medio Oriente

Il Parlamento Europeo ha approvato ieri a maggioranza, per la prima volta dal 7 ottobre 2023, una Risoluzione che invita gli Stati membri a "valutare la possibilità di riconoscere lo Stato di Palestina per sostenere la soluzione dei due Stati". Il testo è passato a Strasburgo con 305 voti favorevoli, 151 contrari e 122 astenuti.

Il Parlamento Europeo invita gli Stati membri a riconoscere lo Stato di Palestina

"Gaza al limite: l'azione dell'Ue per combattere la carestia, l'urgente necessità di liberare gli ostaggi e procedere verso una soluzione a due Stati", questo il titolo della risoluzione storica approvata ieri che segna un nuovo capitolo nelle relazioni diplomatiche europee con il Medio Oriente.

La risoluzione è stata presentata dai gruppi S&D (Socialisti e Democratici), Verdi e Renew, e ha ottenuto il sostegno della maggior parte del Ppe (inclusa Forza Italia), del gruppo S&D (compreso il Pd), di Renew, gran parte dei Verdi e una parte della Left (sinistra ed estrema sinistra che riuniscono partiti socialisti democratici, ecosocialisti e comunisti). Il voto è stato lungo e teso, con gli eurodeputati che hanno chiesto una pausa per valutare il risultato dello scrutinio sugli emendamenti prima di procedere al voto finale.

Un compromesso diplomatico significativo

Il testo rappresenta un compromesso tra i gruppi di maggioranza, che hanno accettato di ritirare gran parte degli emendamenti più controversi per assicurarsi il sostegno finale. Significativamente, la risoluzione non contiene una menzione diretta alle responsabilità di genocidio da parte di Israele, elemento che ha permesso di raggiungere un consenso più ampio.

Valerie Hayer, Presidente del gruppo Renew Europe, ha dichiarato: "Renew ha lavorato instancabilmente per raggiungere questo storico compromesso, riunendo tutti i gruppi per mettere al primo posto la responsabilità condivisa e sostenere la Risoluzione. Grazie ai nostri sforzi, il Parlamento europeo è la prima istituzione della UE a parlare con una sola voce: un segnale forte da parte di questa Assemblea agli Stati membri".

Il contenuto della risoluzione

La risoluzione si articola su diversi punti chiave. Dal punto di vista umanitario, condanna il blocco degli aiuti umanitari a Gaza da parte del governo israeliano, che ha provocato una carestia nel nord di Gaza, e chiede l'apertura di tutti i pertinenti valichi di frontiera. Invita inoltre a ripristinare con urgenza il mandato e i finanziamenti a UNRWA, missione delle Nazioni Unite.

Sul piano del conflitto, il Parlamento condanna l'attacco di Hamas  del 7 ottobre contro Israele chiedendo sanzioni concrete, riaffermando l'impegno per la sicurezza di Israele e il suo "inalienabile diritto all'autodifesa" nel rispetto del diritto internazionale. Tuttavia, sottolinea che tale diritto "non può giustificare azioni militari indiscriminate a Gaza" ed esprime preoccupazione per le continue operazioni militari nella Striscia (personalmente tengo a precisare che la maggior parte dei Paesi esistenti al Mondo, tra cui India, Cina, Russia, Brasile, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Iran, Ucraina e Norvegia, NON considera Hamas un'organizzazione terroristica, al pari anche dell'ONU. È una minoranza molto ristretta di nazioni, principalmente occidentali e alleate di Israele, che applica questa etichetta. Come già precisato, anche le Nazioni Unite non designano Hamas come organizzazione terroristica, nonostante le pressioni americane in tal senso. 

Il paradosso dell'autodifesa: quando un Paese si considera al di sopra del diritto internazionale

A proposito però dell'"inalienabile diritto all'autodifesa" citato nella Risoluzione, va necessariamente precisato che siamo davanti all'erosione sistematica del diritto internazionale da parte di Israele, che invoca l'"autodifesa" per giustificare azioni militari contro Paesi terzi sovrani senza che la comunità internazionale riesca a fermarlo.

Secondo il diritto internazionale infatti, e specificamente l'Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, il diritto all'autodifesa è soggetto a rigorose limitazioni che Israele sistematicamente viola:

  • Proporzionalità: gli attacchi devono essere proporzionati alla minaccia
  • Necessità: devono esistere alternative pacifiche esaurite
  • Immediatezza: la risposta deve essere tempestiva rispetto all'attacco subito
  • Distinzione: obbligo di distinguere tra obiettivi militari e civili
  • Sovranità territoriale: rispetto dell'integrità territoriale degli Stati terzi.

Contrariamente quindi a quanto stabilito dal diritto internazionale, negli ultimi mesi – e non solo - abbiamo assistito a una escalation senza precedenti di violazioni della sovranità internazionale da parte dello Stato occupante di Israele con attacchi contro Stati terzi e sovrani, in particolare contro Qatar, Libano, Yemen, Siria e Iran.

Il caso israeliano dimostra quindi la fragilità dell'architettura giuridica internazionale quando uno Stato (Israele), protetto da una superpotenza (USA), decide di ignorare sistematicamente le norme. La comunità internazionale si trova di fronte a una scelta cruciale: ristabilire la primazia del diritto internazionale o accettare il collasso definitivo del sistema multilaterale. La contraddizione finale è evidente: giuridicamente Israele non ha il diritto di attaccare Stati sovrani in nome dell'autodifesa, ma praticamente nessuno riesce a fermarlo. Questo vuoto tra diritto e realtà non solo mina le fondamenta dell'ordine internazionale, ma legittima de facto un mondo dove la forza prevale sul diritto.

La risoluzione del Parlamento europeo, per quanto significativa, appare quindi inadeguata di fronte a questa crisi sistemica. Non basta più invocare la "soluzione a due Stati" quando uno degli attori principali ha dimostrato di considerarsi al di sopra di qualsiasi norma internazionale.

Sostegno alle misure di Von der Leyen

La Risoluzione afferma il sostegno all'approccio della Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen sul tema dell'accordo di associazione Ue-Israele. I deputati sostengono infatti la decisione della Presidente della Commissione europea di sospendere il sostegno bilaterale dell'Ue a Israele e di sospendere parzialmente l'accordo Ue-Israele in materia commerciale. La risoluzione sostiene inoltre le sanzioni dell'Ue contro coloni e attivisti israeliani violenti nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme Est, e contro i ministri israeliani Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir.

Il Parlamento invita le istituzioni e i Paesi UE a compiere passi diplomatici per garantire l'impegno verso la soluzione dei due Stati, con progressi politici concreti verso la sua realizzazione, in vista dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del settembre 2025.

L'illusione della soluzione a due Stati: un'analisi critica

Nonostante l'entusiasmo diplomatico per la risoluzione europea però, è necessario affrontare una questione fondamentale che mina alla base la fattibilità della soluzione a due Stati. La domanda infatti è: dove dovrebbe sorgere concretamente ed esattamente lo Stato palestinese? Perché la realtà sul terreno presenta un quadro drammaticamente diverso dalle aspirazioni diplomatiche. Decenni di espansione degli insediamenti israeliani hanno frammentato i territori palestinesi in una serie di enclavi disconnesse. La Cisgiordania è attraversata da centinaia di checkpoint militari, strade riservate ai coloni israeliani e zone militari chiuse che rendono impossibile la continuità territoriale necessaria per uno Stato funzionante.Gaza, completamente assediata e devastata da quasi due anni di fitti bombardamenti,  conta circa 2,3 milioni di abitanti in uno dei territori più densamente popolati al mondo. La Cisgiordania è divisa in zone A, B e C secondo gli Accordi di Oslo, con la zona C - che rappresenta il 60% del territorio - sotto completo controllo israeliano. Gli insediamenti, considerati illegali dal diritto internazionale, ospitano ormai oltre 700.000 coloni israeliani e continuano ad espandersi. Come può nascere uno Stato palestinese vitale e contiguo in queste condizioni? La proposta di riconoscimento internazionale rischia di legittimare la creazione di un "pseudo-Stato" privo di sovranità effettiva, controllo delle frontiere, continuità territoriale e risorse economiche. Gerusalemme Est, dal canto suo, annessa illegalmente da Israele nel 1967 e rivendicata dai palestinesi come capitale del futuro Stato, è sotto totale controllo israeliano con una sistematica politica di colonizzazione e demolizioni di case palestinesi. La città santa, cruciale per l'identità palestinese, è oggi frammentata da insediamenti e barriere che rendono impossibile immaginare una divisione funzionale.

L'alternativa dello Stato unico

Di fronte a questa realtà, molti analisti e attivisti per i diritti umani propongono un'alternativa radicale sulla quale concorda anche l'autore di questo articolo: uno Stato unico democratico con pari diritti per tutti i cittadini, indipendentemente da religione, etnia o origine. Questa soluzione comporterebbe:

  • Uguaglianza di diritti civili e politici per ebrei, musulmani, cristiani e tutte le altre comunità
  • Fine del sistema di apartheid che attualmente caratterizza i territori occupati
  • Ritorno dei rifugiati palestinesi secondo il diritto internazionale
  • Condivisione equa delle risorse idriche, territoriali ed economiche
  • Protezione delle minoranze attraverso garanzie costituzionali.

Ad ogni modo, dopo mesi e mesi di immobilismo, l'Unione Europea si è finalmente svegliata da quel lungo torpore. Tuttavia, la risoluzione approvata rischia di perpetuare un'illusione diplomatica che ignora la realtà sul terreno. La proposta di riconoscimento dello Stato palestinese infatti, per quanto politicamente significativa, non affronta la questione cruciale: non esistono più le condizioni territoriali per due Stati separati e vitali. Cinquant'anni di occupazione e colonizzazione hanno creato una realtà irreversibile.

La vera sfida per la comunità internazionale non è più come creare due Stati, ma come garantire l'uguaglianza e la dignità a tutti gli abitanti della Palestina storica. Solo abbandonando le formule diplomatiche obsolete e abbracciando il principio dell'uguaglianza dei diritti umani si potrà costruire una pace duratura e giusta.

Di Eugenio Cardi