Argentina, la sfida di Javier Milei dopo la sconfitta a Buenos Aires: rilancio delle riforme o ritorno al fallimento peronista?
La provincia di Buenos Aires, la più popolosa e simbolicamente potente dell’intera Argentina, ha emesso un verdetto netto: alle elezioni provinciali del 7 settembre il partito del presidente Javier Milei, La Libertad Avanza (LLA), si è fermato al 33,8% dei voti
La provincia di Buenos Aires, la più popolosa e simbolicamente potente dell’intera Argentina, ha emesso un verdetto netto: alle elezioni provinciali del 7 settembre il partito del presidente Javier Milei, La Libertad Avanza (LLA), si è fermato al 33,8% dei voti, contro il 47,2% conquistato dalla coalizione peronista di centrosinistra Fuerza Patria, guidata dal governatore Axel Kicillof. Una sconfitta politica che pesa, certo, ma che va letta in un contesto più ampio e meno allarmista di quanto i titoloni della stampa progressista vogliano far credere. Milei non perde semplicemente un’elezione locale: si confronta per la prima volta con una delle roccaforti storiche del clientelismo statalista argentino, quella Buenos Aires che per decenni ha vissuto della spesa pubblica gonfiata, dei sussidi infiniti e delle promesse vuote del peronismo. La battaglia, inutile negarlo, era ambiziosa: il presidente aveva voluto trasformare le elezioni provinciali in un referendum nazionale sulla sua rivoluzione liberale. Una scelta rischiosa, in una terra dove la macchina peronista – pur logora – conserva ancora una formidabile capacità di mobilitazione.
Kicillof, il nuovo volto della sinistra populista?
Il vero vincitore della tornata elettorale è Axel Kicillof, già ministro dell’Economia sotto Cristina Fernández de Kirchner e attuale governatore della provincia. Accolto dai suoi sostenitori al grido di “¡Axel presidente!”, Kicillof si candida oggi come figura unificante della sinistra argentina in vista delle presidenziali del 2027, dopo il declino giudiziario e politico della stessa Kirchner. Il suo peronismo marxisteggiantee keynesiano ha fatto breccia in un elettorato ancora dipendente dallo Stato, soprattutto nelle periferie urbane e nelle aree rurali.
Eppure, la vittoria del peronismo non può essere letta come una rinascita ideologica. L’affluenza, al minimo storico dal 1983 (appena il 61%), mostra una società civile sempre più disillusa e distante dalla politica. Una buona fetta dell’elettorato ha semplicemente scelto di disertare le urne, pagando la sanzione prevista pur di non partecipare al voto. Non è un segno di entusiasmo per Kicillof, ma di stanchezza verso un sistema che fatica a rigenerarsi.
Milei: “Non indietreggiamo di un millimetro”
Javier Milei, nel suo discorso post-elettorale, ha riconosciuto senza giri di parole la sconfitta. “Abbiamo perso, politicamente parlando. Ma se vogliamo costruire qualcosa di duraturo, dobbiamo guardare in faccia la realtà”, ha dichiarato il presidente, aggiungendo però che “non rinunceremo a un modello che ha già portato l’inflazione dal 200 al 30% e che punta a una crescita strutturale del 7%”. E qui sta il punto fondamentale: nonostante le difficoltà, l’Argentina sta finalmente uscendo dal tunnel economico grazie a una cura liberale dura ma necessaria. I mercati, pur reagendo con volatilità immediata (con il dollaro schizzato a 1.430 pesos e il Mervalin caduta dell’11%), sanno che l’alternativa al governo Milei sarebbe un ritorno alla spesa pubblica incontrollata, alla moneta debole e alla dipendenza dal debito estero.
L’ombra dello scandalo e le difficoltà parlamentari
A rendere ancora più difficile il momento politico per Milei, è arrivato anche lo scandalo che coinvolge la sorella Karina, potente capo di gabinetto. In un audio trapelato, l’ex direttore dell’Agenzia per la Disabilità, Diego Spagnuolo, ha parlato di presunte tangenti legate alla fornitura di farmaci. Il presidente ha reagito con decisione, rimuovendo Spagnuolo e difendendo pubblicamente la sorella, ma l’accaduto ha inevitabilmente pesato sulla sua immagine. Dal punto di vista istituzionale, il governo non ha ancora una maggioranza in parlamento: LLA conta solo 7 senatori su 72 e 39 deputati su 257. Le elezioni di midterm del 26 ottobre rappresenteranno il vero spartiacque per il progetto riformatore. Ogni seggio conquistato sarà una leva in più per continuare a governare senza i continui compromessi con un sistema politico ostile e spesso connivente con il vecchio ordine.
Il bivio argentino
L’Argentina, in fondo, è a un bivio storico. Da un lato c’è il passato peronista, che ha portato il Paese al default, all’inflazione fuori controllo e alla fuga di capitali. Dall’altro c’è un progetto liberale che, pur tra mille ostacoli, ha cominciato a produrre i primi segnali di ripresa. Le riforme strutturali di Milei non sono populiste né miracolistiche: sono dure, certo, ma fondate su una visione moderna, occidentale e meritocratica. Il voto del 7 settembre non chiude il capitolo Milei. Semmai, segna l’inizio della sua vera sfida: convincere una nazione ferita e polarizzata che la libertà economica non è solo un’utopia accademica, ma l’unica via per uscire dal pantano in cui la politica clientelare l’ha spinta per decenni. Il 26 ottobre sapremo se l’Argentina avrà scelto di tornare indietro… o se avrà il coraggio di guardare avanti.
Di Riccardo Renzi