Gaza, la denuncia del ct della Palestina: “Mio vice ucciso mentre consegnava aiuti, durante Italia-Israele issate bandiere palestinesi”
L’allenatore rivolge infine un appello all’Italia, che questa sera affronterà Israele: “Agli italiani dico questo: osservate un minuto di silenzio prima del calcio d’inizio per onorare i bambini di Gaza e le nostre vittime. Issate la bandiera palestinese sugli spalti e intonate cori per noi come atto di solidarietà. E, infine, non dimenticatevi del passato: nel 1982 l’Italia dedicò il Mondiale al popolo palestinese. Ora serve un altro segnale forte”
Ihab Abu Jazar, ct della squadra di calcio della Palestina, denuncia il perdurare del genocidio in corso nella Striscia di Gaza. L’allenatore ricorda come il suo vice, Hani Al-Masdar, è stato ucciso dai soldati delle Idf mentre consegnava aiuti umanitari. Inoltre, lancia un monito per Italia-Israele: “Issate bandiere palestinesi durante la partita e intonate cori per noi”.
Gaza, la denuncia del ct della Palestina: “Mio vice ucciso mentre consegnava aiuti, durante Italia-Israele issate bandiere palestinesi”
Un Paese che non gioca in casa da oltre 6 anni, un commissario tecnico che guida la nazionale tra macerie e checkpoint, una squadra che si allena tra esilio e dolore. Ihab Abu Jazar, allenatore della Palestina, racconta cosa significa rappresentare un popolo sotto assedio: “Ho perso più di 250 persone tra amici, parenti e colleghi. L’Italia faccia un minuto di silenzio per i nostri bambini”.
In Palestina persino la normalità incute paura. “La cosa che temiamo di più è il telefono. Una volta rientrati negli spogliatoi facciamo fatica a controllare le notifiche. Quell’avviso, ormai quotidianità per milioni di persone, è diventato una fonte d’ansia: potrebbe dirci che è morto un amico o un familiare”.
Dal 3 dicembre 2024 Abu Jazar siede sulla panchina della nazionale, che non disputa una gara in casa dal 15 ottobre 2019, contro l’Arabia Saudita ad Al-Ram. Da allora, le sfide interne si giocano a Doha. “Ti senti vuoto, isolato, ti manca un pezzo che non sai quando ti verrà ridato. Io sono nato a Rafah, a sud della Striscia di Gaza. Oggi è una città che quasi non esiste più: è stata rasa al suolo”.
Il tecnico spiega la difficoltà di guidare una squadra in esilio: “Come c.t. alleni una squadra che non può giocare davanti ai tifosi, che non può riunire i giocatori in patria e che non può comunicare liberamente a causa di posti di blocco e restrizioni imposti dall’occupazione. Il ruolo trascende lo sport. Si tratta di raccontare al mondo il nostro calvario e trasformare il dolore in forza. Allenare la Palestina è una forma di resistenza”.
Il calcio, quindi, come atto di sopravvivenza: “Non mollando. Siamo la voce di un popolo. Portiamo speranza e traiamo forza dalla gente. Ogni segnale che inviamo attraverso il calcio fa parte di una lotta più grande: quella per la libertà”.
Il quadro sportivo nel Paese è desolante. “Da noi lo sport non esiste più. Paralizzato da morti, arresti, posti di blocco, macerie. Più di 280 infrastrutture sportive sono state danneggiate o rase al suolo. Alcuni impianti sono stati usati come centri di detenzione per interrogare i prigionieri. Il campionato è sospeso da tre anni e non ci sono competizioni giovanili. Il numero di morti legati allo sport è 774: tra questi ci sono giocatori, membri delle federazioni e così via”.
Il genocidio ha colpito anche i suoi collaboratori più vicini. “Io ho perso più di 250 persone tra parenti, colleghi e amici, ma sono ancora qui. Come i miei giocatori. Ma poche altre storie mi hanno segnato come la morte di Hani Al-Masdar, il mio vice. Era il mio braccio destro nella squadra olimpica. Un eroe. È stato ucciso mentre consegnava aiuti, viaggiando da nord a sud per sostenere i bisognosi. Suleiman Al-Obeid invece, il ‘Pelè della Palestina’, ex punta della nazionale, è morto mentre era in coda per il cibo, costretto dalla guerra a cercare da mangiare per sé e per i suoi figli”.
L’allenatore rivolge infine un appello all’Italia, che nelle qualificazioni affronterà Israele: “Agli italiani dico questo: osservate un minuto di silenzio prima del calcio d’inizio per onorare i bambini di Gaza e le nostre vittime. Issate la bandiera palestinese sugli spalti e intonate cori per noi come atto di solidarietà. E, infine, non dimenticatevi del passato: nel 1982 l’Italia dedicò il Mondiale al popolo palestinese. Ora serve un altro segnale forte”.
Non un invito al boicottaggio: “Non dico questo. Spero che questa partita possa ricordare che ogni giorno una nazione viene uccisa. E a ucciderla è chi gioca contro gli azzurri”.
Poi, lo sguardo torna ai suoi giocatori: “In rosa c’è chi ha perso la madre, il padre, il fratello. L’unica cosa che posso dirgli è non mollare. Di non far sì che i sacrifici e le sofferenze siano vane. Nonostante l'occupazione e i massacri, siamo un popolo che ama la vita. La Palestina ha una cultura di poeti, artisti, pensatori, atleti. Attraverso il calcio vogliamo dimostrare che l'immagine dipinta da Israele è falsa. Ogni partita è una prova di forza delle nostre radici, della nostra forza e del nostro diritto a vivere con dignità e sicurezza”.
E prima di scendere in campo, la frase che diventa rito: “Di resistere finché abbiamo fiato e polmoni”.