Israele bombarda la Siria con la scusa della difesa dei drusi, ma l'obiettivo è destabilizzare al-Jolani e mantenere controllo su territori occupati
Dopo Palestina, Iran, Libano e Yemen, Israele bombarda Damasco ed altre zone della Siria: dietro la motivazione ufficiale si celano calcoli geopolitici più ampi
- I fatti: bombardamenti nel cuore di Damasco
Nei giorni 14-16 luglio 2025, Israele ha lanciato una serie di attacchi aerei senza precedenti contro la Siria, colpendo direttamente la capitale Damasco. Gli attacchi israeliani hanno colpito il quartier generale del ministero della Difesa siriano e un'area vicino al palazzo presidenziale, causando almeno 3 morti e 34 feriti, secondo il ministero della Salute siriano.
"Gli avvertimenti a Damasco sono finiti, ora arriveranno colpi dolorosi", ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano Israel Katz prima degli attacchi. "Le IDF continueranno a operare con forza a Suwayda per distruggere le forze che hanno attaccato i drusi fino al loro completo ritiro".
La gravità dell'escalation è stata evidenziata dal fatto che i filmati mostrano il momento in cui gli attacchi aerei colpiscono l'edificio nel centro di Damasco, inviando detriti in aria insieme a enormi colonne di fumo. Un video di un canale televisivo siriano ha mostrato l'edificio del ministero della Difesa colpito in diretta televisiva, costringendo la conduttrice a mettersi al riparo.
- La giustificazione ufficiale: "salvare i fratelli drusi"
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha giustificato l'operazione militare con parole che suonano come un appello emotivo: "Stiamo operando per salvare i nostri fratelli drusi".
In un videomessaggio registrato dopo gli attacchi, Netanyahu ha promesso di "distruggere le bande del regime siriano" per salvare i drusi, rivolgendosi direttamente ai cittadini drusi israeliani e dicendo: "Stiamo lavorando per salvare i nostri fratelli drusi e distruggere le bande del regime".
- Il contesto degli scontri a Suwayda
Gli scontri che hanno fornito il pretesto per l'intervento israeliano sono iniziati nella città di Suwayda, nel sud della Siria, dove vive la più grande comunità drusa del
Paese. I combattimenti sono scoppiati nel fine settimana tra milizie druse e tribù beduine, riaccendendo i timori di attacchi contro le minoranze. Gli scontri hanno lasciato almeno 30 morti e decine di feriti. L'osservatorio siriano per i diritti umani ha riferito che più di 250 persone sono state uccise mercoledì mattina, inclusi quattro bambini, cinque donne e 138 soldati e forze di sicurezza.
- Ma chi sono i drusi? Una minoranza dalle radici profonde
Per comprendere la complessità di questa crisi, è essenziale conoscere la comunità drusa, spesso misconosciuta ma strategicamente importante nella regione. I drusi compongono una popolazione di circa un milione di persone sparsa tra Siria, Libano e Israele, oltre ad alcune comunità in Giordania. Sono etnicamente arabi e parlano arabo, ma la loro religione li distingue da tutti gli altri gruppi della regione. La loro religione è monoteista di matrice sciita, basata su una complessa dottrina che riunisce elementi di fede islamica, cristiano-giudaica, induista e insegnamenti filosofici greco-ellenistici, in particolare pitagorici. Si è diffusa nell'area siro-palestinese a partire dall'XI secolo. La comunità drusa ha sviluppato caratteristiche distintive che la rendono unica nel panorama mediorientale:
- Chiusura religiosa: La comunità religiosa drusa è chiusa fin dal momento della sua fondazione. Oltre ai fedeli iniziali, nessuno può convertirsi e i matrimoni con persone di altre religioni sono proibiti. Questo significa che la popolazione drusa attuale discende interamente dai primi drusi dell'undicesimo secolo.
- Struttura sociale: La comunità drusa si compone di due gruppi: quello minoritario degli "iniziati" (al-'Uqqāl), costituenti meno di un quarto della comunità, che vengono introdotti ai segreti della dottrina e che tramandano le tradizioni religiose, e quello maggioritario dei "non iniziati" (al-Juhhāl), tenuti in gran parte all'oscuro delle tradizioni della comunità e che conducono uno stile di vita secolare.
- Simboli e credenze: Il loro emblema si chiama Haad: una stella a cinque punte di colori diversi (rosso, verde, giallo, blu e bianco) che simboleggia il potere metafisico che differenzia l'uomo dagli altri esseri viventi.
In Israele i drusi sono circa 150mila, l'1,5 per cento della popolazione, ma sono una minoranza estremamente importante perché aderiscono fedelmente al progetto dello stato israeliano fin dalla sua fondazione, nel 1948. In Israele i drusi sono l'unica
comunità araba che fa il servizio militare di leva. Da un sondaggio condotto nel 2008 dall'Università di Tel Aviv, è emerso che su 764 intervistati drusi, oltre il 94% si sono identificati primariamente come "drusi-israeliani". La comunità più numerosa però è in Siria, dove sono circa 700mila, e sono stanziati soprattutto nella parte sud del Paese, attorno alla città di Suwayda. I drusi siriani erano contrari al regime della famiglia Assad, che ha governato il Paese dal 1970 alla fine del 2024, e si sono sollevati a sostegno della rivolta che a dicembre ha fatto cadere il regime. Diversa è però la situazione dei circa 22mila drusi che vivono nelle alture del Golan, una regione siriana che Israele conquistò nel 1967 nel corso della guerra dei sei giorni ma che secondo la comunità internazionale continua ad appartenere alla Siria. I drusi del Golan continuano in gran parte a sentirsi siriani, e soltanto 1.600 di loro hanno preso la cittadinanza israeliana.
- Le vere motivazioni dietro l'intervento israeliano
Nonostante però la vuota e ipocrita retorica della protezione dei "fratelli drusi", la verità è tutt'altra e l'intervento israeliano è motivato da calcoli geopolitici ben diversi e più ampi:
- Destabilizzazione del nuovo governo siriano: Netanyahu ha precedentemente definito i nuovi leader della Siria come un "regime islamico estremista" e una minaccia per Israele.
- Controllo territoriale: Netanyahu ha detto anche di voler "garantire la demilitarizzazione dell'area vicina al nostro confine con la Siria". A febbraio Israele aveva imposto unilateralmente la demilitarizzazione di tutta l'area "a sud di Damasco", senza l'assenso del nuovo governo siriano.
- Vantaggi politici interni: secondo la giornalista dell'Economist, Anshel Pfeffer, l'attenzione del primo ministro israeliano sulla crisi a Suwayda risponde anche a logiche politiche interne: "Nel breve termine, bombardare ora la Siria, apparentemente a sostegno della minoranza drusa, rappresenta un vantaggio per Netanyahu. Tiene le forze di Damasco - sostenute dalla Turchia - lontane dall'angolo orientale della Siria, vicino al confine israeliano, ed è inoltre una mossa politicamente popolare all'interno dello Stato ebraico".
- La reazione degli Stati Uniti e della comunità internazionale
L'intervento israeliano ha messo in imbarazzo l'amministrazione Trump, che aveva appena iniziato a riavvicinare gli Stati Uniti alla Siria. Così l'amministrazione Trump ha chiesto a Israele di fermare i suoi attacchi contro gli obiettivi del governo siriano e di aprire colloqui diretti con Damasco (così come confermato ad Axios, mercoledì scorso, da parte di un alto funzionario americano. I funzionari americani sono molto preoccupati dal fatto che gli attacchi israeliani possano andare a destabilizzare il nuovo governo siriano). Il segretario di Stato americano Marco Rubio, sempre mercoledì, ha affermato che l'amministrazione Trump si era impegnata con tutte le parti del conflitto per porre fine agli scontri in Siria: "Abbiamo concordato passi specifici che porteranno questa situazione preoccupante e orribile a una fine stanotte".
- Condanna internazionale
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha espresso allarme per la continua escalation di violenza a Suwayda, condannando "gli attacchi aerei di Israele su Suwayda, Daraa e nel centro di Damasco" e chiedendo "una cessazione immediata di tutte le violazioni della sovranità siriana".
- Un fragile "cessate il fuoco"
La tregua è seguita all'intervento degli Stati Uniti. Finora, il cessate il fuoco sembra tenere, ma non è chiaro se durerà. Un accordo precedente è collassato nel giro di ore, e un prominente leader druso ha rifiutato la nuova tregua.
In conclusione, l'intervento israeliano in Siria, giustificato come protezione della comunità drusa, rappresenta un caso emblematico di come motivazioni umanitarie possano essere utilizzate per perseguire obiettivi geopolitici più ampi e molto diversi da quelli dichiarati. Mentre è infatti innegabile che i drusi abbiano effettivamente subito violenze e che la loro situazione sia precaria, l'intensità e la portata dell'intervento israeliano - inclusi bombardamenti nel cuore di Damasco - suggeriscono motivazioni che vanno ben oltre la semplice protezione umanitaria. La comunità drusa, con la sua complessa identità religiosa e le sue lealtà divise tra più Paesi, si trova ancora una volta al centro di un gioco geopolitico più grande, dove la sua sopravvivenza e i suoi diritti diventano strumenti nelle mani di potenze regionali che perseguono i propri interessi strategici.
La situazione al momento rimane fluida e potenzialmente esplosiva, con il rischio che la Siria, già devastata da anni di guerra civile, possa essere trascinata in un nuovo conflitto proprio quando sembrava finalmente avviarsi verso una stabilizzazione. Purtroppo se la Comunità Europea, una volta per tutte, non si deciderà – al di là di sterili dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano - a mettere un freno allo strapotere militare di Israele nell'area mediorientale, i problemi non potranno che aumentare e riguarderanno anche noi, sempre più da vicino.
Di Eugenio Cardi