Aveva ragione Putin, l’Europa divisa e vassallo degli USA può solo cadere
Se la telefonata di Draghi a Putin ha avuto il sapore della resa, la divisione sulle sanzioni e lo smacco di Orban decretano la fine dell'Europa unita
Stavano aspettando tutti in religioso silenzio all’interno dei palazzi tra Roma e Bruxelles, magari alla penombra delle loro scrivanie, il risultato di Draghi impegnato in una missione storica: la telefonata al Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Mai si era arrivati a tanto dall’inizio del conflitto ucraino. Mai qualcuno avrebbe pensato ad un cedimento dell’ex presidente della BCE, intento a rivolgersi proprio a lui, Vladimir Putin, per chiedere lo sblocco del grano. Eppure l’ha fatto, a capo chino, benché avesse creduto strenuamente di poterlo sconfiggere con un mix graduale di sanzioni.
La "magia salvifica" di Draghi sulla Yellen
In origine fu Ursula Von der Leyen che, spazientita dalla lentezza della Yellen, a cui fu affidato il compito di ideare una strategia per punire il teppistello di Mosca. Ma l’ex presidente della Federal Reserve ed oggi punta di diamante al Tesoro degli stati Uniti d’America, era troppo “impegnata a leggere le scritte in piccolo”, come riportò il Financial Times e, per questo il Presidente della Bce, Ursula Von der Leyen annunciò alla stampa di aver telefonato a Draghi. Nient’altro.
Delirio immediato nelle redazioni di tutto il mondo: perché mai questo dispaccio di servizio? Niente paura, era per rasserenare tutti sulla “magia” che Draghi avrebbe fatto sulla Yellen, così da farle comprendere come si conduce una “guerra economica” talmente potente da annientare il Cremlino. L’aneddoto riportato sul Financial Times fece impazzire i britannici.
E così mentre Putin combatteva sul campo, Draghi guidava un’armata finanziaria fatta da pezzi da ’90, europei ed americani, personaggi strategici che solo lui sarebbe stato in grado di condizionare. L’ideatore delle sanzioni fu dunque Mario Draghi. Il rublo crollò, pochi giorni e Putin lo agganciò al valore dell’oro spiegando all’Occidente cosa significa avere una sovranità monetaria: 5000 rubli per un grammo d’oro ed in 24 ore, la moneta di Mosca recuperò il 50% che aveva perduto. Amen.
La telefonata a capo chino a Vladimir Putin
Stavolta il confronto diplomatico era tra due generali: colui che guida sulla scacchiera le forze armate russe con la mano destra, mentre con la sinistra alza lo scudo economico alle sanzioni occidentali e colui che ha dato il via alla “finanza armata” che ha tanto affascinato i britannici.
Ma la telefonata aveva già il sapore della resa: chiedere lo sblocco del grano infatti, significava ammettere che il boom alimentare, accompagnato da un’inflazione senza precedenti, era insostenibile per un’Europa che aveva contato troppo sulle forze armate di Kiev addestrate dalla Nato ed oggi foraggiate anche dagli Usa, che promettono a Zelensky “armi pesanti”. Mai ci si sarebbe aspettati che il grano non potesse raggiungere l’Occidente via mare e, benché si attribuisca la colpa alle navi militari che il Cremlino si ostina a tenere al largo delle coste ucraine, la verità è che il grano, qualora riuscisse ad arrivare via terra alle spiagge, fatica ad essere caricato nei porti a causa della presenza di mine. Eh sì, di mine. Quelle messe da Kiev che teme un secondo sbarco in Normandia.
Ormai l’esercito del governo ucraino è allo sbaraglio, benché vi siano territori riconquistati infatti, la gran parte di battaglioni armati è formata da sopravvissuti alla guerriglia urbana, poco coordinati tra loro, i reduci di quella guerriglia combattuta con le molotov e voluta da Zelensky, che offrì alla guerra braccia incompetenti, arricchendo così il libro degli eroi nazionali.
E Putin sa che l’Europa così non può farcela e benché non gli fosse richiesto, ha ricordato all’orgoglioso Draghi che la Russia è sempre intenzionata a fornire flussi di gas. Certo, da questi Mosca trae il maggior guadagno: dalla cessione del 30% dei metri cubi estratti e destinati all’esportazione, circa il 70% raggiunge i paesi europei mentre la restante parte è destinata alla Cina e la gran parte serve a foraggiare il Cremlino.
E così l’Europa comprende che forse è il caso di rivedere i piani. Del resto l’embargo del petrolio era già fallito dopo la richiesta della Slovacchia, Bielorussia e Ungheria di rimandare di alcuni anni l’addio al greggio di Mosca dato che rinunciarvi adesso sarebbe stato un suicidio economico. Ma non è tutto. Il consiglio di Putin è forse accompagnato da qualche strana manovra di arbitraggio sui trade petroliferi? E’ probabile. Un cambio di rotta quello della Presidente della Commissione UE in sole tre settimane: fu lei il 9 maggio scorso a proporre l’embargo.
Chissà quale proposta indecente deve essere giunta sui tavoli di Bruxelles, che Ursula Von der Leyen ha appena consigliato ai paesi Ue di acquistare petrolio russo per evitare che qualche altro paese potesse rivenderci lo stesso petrolio russo a prezzo maggiorato. E Mosca ci avrebbe guadagnato lo stesso, anzi, probabilmente ci avrebbe guadagnato di più. E magari i paesi coinvolti nell’operazione di arbitraggio petrolifero sarebbero gli stessi che Putin avrebbe convertito alla causa filorussa: una manovra di accerchiamento economico sottobanco, magari condotto proprio con i paesi Africani, la metà dei quali si astenne nell’Assemblea Onu del marzo scorso, quando si discusse sull’approvazione delle linee occidentali antirusse. La stessa Africa per altro in cui Cingolani e Di Maio si sono diretti per convincere diplomatici di paesi instabili a tramutarsi improvvisamente in fornitori di gas. Una missione di “conversione economica” più o meno paragonabile a quella dei preti nel Sud America di fine ‘400, perché in alcuni casi i paesi africani a cui l’Italia si è rivolta per cercare gas e petrolio, nemmeno sapevano di averlo e, qualora lo trovassero, la costruzione di un gasdotto o di un oleodotto potrebbe costare decenni.
Ma l'embargo del petrolio è saltato anche perché Budapest ha chiesto 15 miliardi e la commissione guidata da Ursula von der Leyen era pronta a dargliene soltanto due. Eh sì perché l'Europa non è riuscita nemmeno a mettere in riga e dissidenti del sesto pacchetto di sanzioni con un'offerta decente. È andata in panne per poco scatenando l'incredulità di Kiev. E poi è arrivato Orban, forse l'ultimo rimasto tre capi di stato europei ad avere un atteggiamento filorusso: e a questa proposta indecente ha risposto con una vera e propria mossa di insubordinazione diplomatica, facendo cioè sapere di non riconoscere l'interlocuzione con il capo della Commissione UE, Ursula von der Leyen, il presidente dell'Ungheria è intenzionato a discutere soltanto con gli altri capi di governo. Una spina nel fianco per l'Europa che viene minata nelle sue fondamenta e a cui non viene riconosciuta la funzione di organo sovranazionale. Per Orban i due miliardi offerti dall'Europa sono quasi una presa in giro: deriverebbero infatti dal patto del Recovery Plan e sarebbero stati bloccati per l'Ungheria a causa dell'infrazione sullo stato di diritto.
Ma la presa in giro della commissione non è l'unica ad aver fatto arrabbiare Orban: l'Ungheria che si era dissociata dalla proposta di Ursula von der leyen del 9 maggio scorso concernente il sesto pacchetto di sanzioni e l'embargo totale del petrolio russo, aveva chiesto che non fossero bloccati gli oleodotti in grado di rifornire l'Ungheria del greggio necessario la propria economia. L'oleodotto Druzhba infatti non era contemplato all'interno del pacchetto delle sanzioni sul embargo del petrolio che metteva il bando soltanto il 90% delle forniture russe, ma non toccava quelle negli oleodotti. E il Druzhba casualmente baciava Berlino. Forte la reazione di Francia, Spagna e Italia che hanno giudicato questa mossa intollerabile perché avrebbe avvantaggiato Berlino ai danni di molti partner europei.
Orban proprio nella giornata di ieri ha ottenuto l'approvazione del Parlamento Europeo ed ha cominciato a parlare a giusta ragione di "suicidio dell'Occidente".
di Maria Melania Barone