Terapia familiare, sentenza della Cassazione: il giudice non ha potere di imporre trattamenti terapeutici a genitori, può suggerirli

Con l'ordinanza 14 dicembre 2025, n. 32576, il giudice non può imporre ai genitori un percorso di terapia familiare o psicologica, neppure quando tale misura venga ritenuta funzionale al benessere dei figli

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32576 del 14 dicembre 2025, chiarisce che il giudice non ha il potere di imporre ai genitori trattamenti terapeutici o percorsi di terapia familiare, potendo al più suggerirli, poiché tali prescrizioni incidono sulla libertà personale e sul diritto di autodeterminazione, anche quando siano finalizzate a superare situazioni di forte conflittualità familiare e a tutelare l’interesse dei figli minori.

Terapia familiare, sentenza della Cassazione: il giudice non ha potere di imporre trattamenti terapeutici a genitori, può suggerirli

Una vicenda familiare complessa, segnata da un conflitto profondo tra i genitori, è approdata fino alla Corte di Cassazione, offrendo l’occasione per riaffermare un principio di grande rilevanza costituzionale: il giudice non può imporre ai genitori un percorso di terapia familiare o psicologica, neppure quando tale misura venga ritenuta funzionale al benessere dei figli.

Il caso trae origine dal netto rifiuto di 2 figlie minori di incontrare il padre. Di fronte a questa opposizione, il genitore paterno aveva chiesto che la madre venisse sanzionata o quantomeno ammonita per non aver aderito a un percorso di terapia familiare e di sostegno alla genitorialità, precedentemente indicato dal Tribunale per i minorenni di Bologna come strumento per superare la crisi relazionale.

Le indagini dei servizi sociali e l’ascolto diretto delle minori, tuttavia, hanno restituito un quadro diverso da quello prospettato dal ricorrente. Le figlie sono state ritenute pienamente capaci di discernimento e il loro rifiuto non è stato considerato il risultato di una manipolazione materna. Al contrario, le minori hanno descritto il padre come un genitore privo di empatia e sostanzialmente maltrattante sul piano relazionale.

Con l’ordinanza n. 32576 del 14 dicembre 2025, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del padre, confermando le decisioni dei giudici di merito. Secondo la Suprema Corte, il comportamento della madre non è sanzionabile: il rifiuto di intraprendere un percorso psicoterapeutico rientra nella sfera della libertà personale e non può essere oggetto di coercizione giudiziaria.

I giudici di legittimità hanno chiarito che l’autorità giudiziaria può, al più, suggerire o sollecitare percorsi di psicoterapia, mediazione o sostegno alla genitorialità, e può incidere sulle dinamiche familiari attraverso il monitoraggio dei servizi sociali. Ciò che non può fare è imporre trattamenti terapeutici, nemmeno quando le dinamiche patologiche tra gli adulti abbiano ricadute negative sui figli.

La prescrizione di un percorso psicoterapeutico, infatti, è finalizzata alla maturazione personale delle parti, un obiettivo che la Cassazione definisceestraneo al giudizioe rimesso esclusivamente al diritto di autodeterminazione individuale. Un’imposizione in tal senso violerebbe gli articoli 13 e 32, comma 2, della Costituzione, che tutelano la libertà personale e il diritto di non essere sottoposti a trattamenti sanitari se non nei casi previsti dalla legge.

La Corte ha inoltre escluso qualsiasi possibilità di “soluzioni drastiche”, come l’imposizione forzata degli incontri con il padre o addirittura la separazione delle sorelle, definendo tali ipotesi non coraggiose ma imprudenti, insensibili e controproducenti per l’equilibrio delle minori.