Urbanistica Milano, Cassazione smonta accuse su Catella: "Nessun indizio che provi realmente la corruzione tra lui e Scandurra"
La Cassazione conferma la revoca degli arresti: nessuna prova di un patto corruttivo tra Manfredi Catella e l’architetto Scandurra nell’inchiesta sull’urbanistica milanese
La Corte di Cassazione ha smontato le accuse sul presunto patto corruttivo fra il noto immobiliarista Manfredi Catella e l'architetto ed ex membro della Commissione paesaggio del Comune di Milano, Alessandro Scandurra, dichiarando che "non c'è nessun indizio che provi realmente la corruzione" per quanto riguarda l'inchiesta urbanistica meneghina.
Urbanistica Milano, Cassazione smonta accuse su Catella: "Nessun indizio che provi realmente la corruzione tra lui e Scandurra"
Non ci sono elementi che dimostrino un patto corruttivo tra Manfredi Catella, Ceo e fondatore del gruppo immobiliare Coima, e l’architetto Alessandro Scandurra, ex componente della Commissione paesaggio del Comune di Milano. È quanto scrive la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 13 novembre, ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Milano contro la revoca degli arresti decisa dal Tribunale del Riesame nell’ambito delle inchieste sull’urbanistica del capoluogo lombardo.
Secondo la Suprema Corte, i "pagamenti eseguiti da Coima per gli incarichi professionali conferiti all’architetto Scandurra" non hanno "costituito una illecita remunerazione per il pubblico ufficiale". Una conclusione che conferma integralmente la decisione del Riesame, che il 12 agosto aveva annullato l’arresto di Catella, finito ai domiciliari il 31 luglio con l’accusa di corruzione e induzione indebita.
Al centro dell’indagine vi erano alcune consulenze professionali, tra cui una fattura da 28.500 euro emessa dallo studio di Scandurra nel luglio 2023, ritenuta inizialmente dai magistrati una tangente mascherata per ottenere pareri favorevoli su progetti immobiliari di Coima, tra cui quello del Pirellino. I legali di Catella hanno sempre sostenuto la piena regolarità dell’incarico e la mancanza di qualsiasi illecito, posizione ora avvalorata dalle motivazioni della Cassazione.
La sesta sezione penale riconosce l’esistenza di "rapporti a tratti impropri", dovuti a una "eccessiva vicinanza tra la parte pubblica e quella privata", ma sottolinea che tale contesto non è sufficiente a configurare la corruzione. Non risulta infatti dimostrato che l’attività del pubblico ufficiale sia stata condizionata dall’interesse dell’imprenditore, né che vi sia stato un asservimento della funzione pubblica. In particolare, manca la prova di una correlazione causale tra la stipulazione del contratto professionale e l’adozione di atti contrari ai doveri d’ufficio.
Per la Corte, l’unico elemento emerso è una "obiettiva situazione di cointeressenza", che però non basta a dimostrare tutti gli elementi costitutivi del reato di corruzione. Senza la prova di un accordo corruttivo, spiegano i giudici, non può parlarsi di “vendita della funzione”, e non è sufficiente invocare un presunto carattere “sistemico” o “ambientale” della corruzione.
La decisione rappresenta un passaggio cruciale nell’inchiesta sull’urbanistica milanese, ridimensionando in modo netto l’impianto accusatorio almeno sul fronte della corruzione contestata a Catella e Scandurra.