Il cardinale Zuppi, Marzabotto e il silenzio dell’Europa: cronaca di una memoria che vuole aprirci gli occhi sull’abisso del presente

Marzabotto, chiesa di Casaglia. Una cerimonia. Il cardinale Matteo Zuppi sfoglia un elenco di 469 pagine: 12.211 nomi di bambini uccisi dal 7 ottobre 2023 al 25 luglio 2025. Sedici sono israeliani. Gli altri 12.195 palestinesi

Marzabotto, chiesa di Casaglia. Una cerimonia. Il cardinale Matteo Zuppi sfoglia un elenco di 469 pagine: 12.211 nomi di bambini uccisi dal 7 ottobre 2023 al 25 luglio 2025. Sedici sono israeliani. Gli altri 12.195 palestinesi. Sedici contro dodicimila: se fosse una partita di calcio, l’arbitro avrebbe sospeso l’incontro dopo cinque minuti. Ma qui non c’è il VAR, e il fischietto è in mano a chi sta bombardando.

Numeri che non hanno bisogno di commento: parlano di un abisso morale che l’umanità ha già visto — e non ha imparato a evitare — dopo il Terzo Reich, Hiroshima e Nagasaki, il Vietnam, il Ruanda, la Jugoslavia, l’Iraq, l’Afghanistan. Dopo guerre fratricide, etniche e religiose, il Male oggi ha il volto della pulizia etnica e del genocidio condotti dall’IDF a Gaza e in Cisgiordania. L’iniziativa nasce dalla Piccola famiglia dell’Annunziata, fondata da Giuseppe Dossetti. Zuppi apre la lettura, poi decine di persone si alternano per ore. Si legge nei ruderi della chiesa di Casaglia, teatro dell’eccidio di Marzabotto del 1944: 760 civili massacrati dai nazifascisti. “La sofferenza dei bambini deve colpire più di ogni altra… Speriamo che questo faccia scegliere altre vie”, ha detto Zuppi, invocando un cessate il fuoco.

Intanto, mentre a Marzabotto si prega per la pace, a Gaza la temperatura è rovente — e non solo per il sole. La popolazione, già stremata da sfollamenti e bombardamenti, sopravvive con acqua razionata, quattro punti di distribuzione del cibo (e il rischio di essere uccisi mentre si aspetta il proprio turno per una manciata di farina). L’ONU, con voce piatta da nota stampa, denuncia che “l’86% della Striscia è ormai area militarizzata o soggetta a ordini di evacuazione” e che le ONG non hanno accesso per portare aiuti.

Israele, nel frattempo, stringe anche la Cisgiordania: il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich annuncia la costruzione di 3.400 nuove case nella zona E1, 12 km² a est di Gerusalemme. “Seppelliremo l’idea dello Stato palestinese” ha detto, con l’eleganza diplomatica di un bulldozer, promettendo che “entro settembre gli ipocriti leader europei non avranno più nulla da riconoscere”. E qui entrano in scena i campioni della coerenza europea. Le cancellerie si dicono “profondamente preoccupate” (formula diplomatica che in gergo significa “non faremo assolutamente nulla”). Berlino condanna “fermamente” ma resta tra i principali fornitori di armi a Israele. Kaja Kallas, alto rappresentante UE, afferma che il piano E1 “viola il diritto internazionale” e “interromperà la contiguità territoriale palestinese” — poi aggiunge implicitamente: “ma tranquilli, non prenderemo misure concrete”.

Se al posto di Israele ci fosse la Russia, oggi i leader europei sarebbero già in fila davanti alle telecamere, con la faccia torva e il pacchetto di sanzioni sotto braccio. Ma con Tel Aviv scatta una sorta di immunità diplomatica: può radere al suolo un quartiere e ottenere in cambio solo “profonda preoccupazione”. Si potrebbe credere che il moltiplicarsi delle dichiarazioni di alcuni Stati (Francia e Gran Bretagna in testa) sulla volontà di riconoscere la Palestina come Stato indipendente sia un segnale di svolta. Ma è un’illusione ottica: lo stesso giorno in cui Kallas parlava di “profonda preoccupazione”, annunciava anche che non ci sarebbe stata nessuna sanzione, nessun embargo, nessuna sospensione dell’accordo di associazione del 2000, nessun blocco degli investimenti. Bruxelles ha sviluppato un talento raro: dire tutto senza fare niente. È l’unico posto al mondo dove le parole “violazione del diritto internazionale” sono seguite da una stretta di mano e da un contratto commerciale.

Gideon Sa’ar, ministro degli Esteri israeliano, ha definito la cosa “una vittoria diplomatica” — e non aveva tutti i torti. I numeri spiegano il perché: l’UE è il principale partner commerciale di Israele (34,2% delle importazioni, 28,8% delle esportazioni). Rapporti intensi anche nei servizi, investimenti robusti, contratti difensivi lucrosi. Poi ci sono i legami personali e politici: la cosiddetta “Israel Lobby” — di cui John Mearsheimer e Stephen Walt hanno analizzato la forza negli Stati Uniti — è attivissima anche in Europa. In Italia basta citare qualche nome: Tajani, Renzi, Pina Picierno, Lia Quartapelle… gente che in caso di bombardamenti selettivi trova sempre parole selettivamente calibrate. E così, mentre a Marzabotto si leggono nomi di bambini morti, a Bruxelles si leggono contratti commerciali. Entrambi i documenti sono lunghi. Solo che uno si chiude con un “Amen”, l’altro con una firma in calce.

Di Marco Pozzi