20 Ottobre 2023
Il tribunale di Genova
Al via il processo in Corte d’assise per l’omicidio di Manuel Di Palo, colpito a morte con un colpo di pistola al cuore da Filippo Giribaldi in centro a Genova il 25 aprile scorso nell’ambito di una vicenda dove il vero protagonista è il crack. In aula ha parlato l’imputato e dopo il suo esame sia il pm Eugenia Menichetti sia i difensori di Giribaldi hanno rinunciato a tutti gli altri testimoni. La sentenza dovrebbe arrivare già il 15 dicembre. L’assassino ha raccontato quella giornata che come quelle precedenti era segnata dall’abuso di droga: “Il 25 aprile l’ho passato a fare uso di sostanze stupefacenti. A comprare dosi in centro storico, tornare a casa e a consumarle. La consumavo a casa da solo. Ero arrivato a un punto che stavo anche 8 giorni sveglio”. “Guadagnavo oltre duemila euro al mese come portuale – ha poi spiegato – e 300 euro al giorno se ne andavano in crack al punto che mi avevano staccato la luce e avevo chiesto un prestito di oltre 15mila euro. Ora in carcere mi sto disintossicando”. E ancora: “Quel pomeriggio a un certo punto ho chiamato Caterina(la donna che conoscevano l’omicida e la sua vittima) per chiederle se le facesse piacere che andassi da lei. L’amicizia fra noi era nata sette anni prima, Poi era diventata a un certo punto un’amicizia ‘sentimentale’, avevamo dei rapporti sessuali, ma non era amore. Anche lei consumava droga, da prima che la conoscessi”.
Giribaldi pensava di andare dalla donna per fumare crack e avere qualche momento di intimità: “Lei mi disse che in quel momento era da sola ma che potevano tornare Di Palo e il suo amico Massimo Gallo. Emi disse se me la sentissi lo stesso perché se fossero tornati loro non sarebbe stata più libera di fare ciò che desiderava”. Il portuale ha detto che Gallo lo conosceva da anni mentre Di Palo solo da qualche mese. Entrambi senza fissa dimora, si erano piazzati in casa della donna, o meglio “chiedevano l’elemosina, poi compravano il crack e lo andavano a consumare da lei che in cambio della droga dava loro ospitalità”.
“Io avevo la sensazione che lei avesse bisogno del mio aiuto per il maltrattamento quotidiano che subiva”, ha ribadito più volte Giribaldi, elemento fondamentale questo perché il punto è che se la sua versione sarà considerata credibile potrebbe cadere l’aggravante dei futili motivi che prevede una condanna all’ergastolo. “Il 25 aprile le dissi che non c’era problema, che avrei potuto fronteggiare la loro richiesta di salire se lei non avesse voluto riaverli in casa”. Poi la richiamai che avevo preso il taxi, stava piangendo: loro erano in casa e io chiesi gentilmente se potevano uscire per un’oretta. Di Palo mi disse che andava bene ma con tono minaccioso mi disse anche che prima doveva parlarmi“. A quel punto Giribaldi si arma per affrontare l’avversario: va a recuperare la pistola che aveva nascosto, guanti, spray al peperoncino e tirapugni. Poi passa a comprare la droga e si reca sotto casa della donna. Quando citofona risponde Gallo che scende. Giribaldi ha già indosso i guanti e impugna la pistola. Quando l’Altro scende lui spara un colpo nel muro: “Non si è nemmeno intimidito – ha raccontato Giribaldi – e diceva che aveva dato a Caterina 20 euro per stare lì. Allora gli ho lanciato in terra 20 euro e lui li ha presi ed è tornato su”. Dopo lo sparo contro il muro Giribaldi decide di andarsene, così scappa ed è talmente fuori si sé per la droga e lo stato di agitazione che pensa di essere inseguito da un carabiniere. “Quando sono arrivato in via Polleri non avevo più fiato, avevo pensato di fermarmi e farmi arrestare e mi sono seduto. Poi mi sono accorto che ad inseguirmi non era un carabiniere ma Di Palo che urlando si è avvicinato e mi ha sferrato un pugno. Ho parato il colpo e istintivamente ho fatto fuoco. Purtroppo eravamo molto vicini e l’ho colpito al cuore. Sono profondamente pentito di quello che ho fatto, è l’unico pensiero che ho ogni giorno. Ho distrutto una vita e ho rovinato la mia”, ha detto il portuale.
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