22 Ottobre 2024
Fonte/crediti: (a dx) una scena di "Eterno visionario - Ph. Di Benedetto Press material Rome Film Festival, (a sx) Roberta Beta - Ph. Alessandra Basile; fotomontaggio di Alessandra Basile
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Alla Festa del cinema di Roma è stato presentato "Eterno visionario" di Michele Placido con Fabrizio Bentivoglio, Valeria Tedeschi, Ute Lemper.
Abbiamo chiesto alla giornalista Roberta Beta, che fece il suo debutto televisivo partecipando alla prima edizione del Grande Fratello, nel lontano 2000, e che intraprese poi una carriera nella radio, sviluppando anche una capacità critica cinematografica, un parere su alcuni film qui presentati, sia prime che non.
Nella video-pillola che segue, Roberta ci dice la sua su "Eterno visionario". Buona visione di video e film!
"Eterno visionario" comprende, nella sua narrazione del celeberrimo e precorritore straordinario commediografo siculo, anche l'assegnazione del Premio Nobel della letteratura a lui, Luigi Pirandello. Ciò avveniva, a Stoccolma, l'8 novembre del 1934, quindi 90 anni fa fra tre settimane.
Placido ci racconta un Pirandello interessato a superare il limite della normalità, forse considerata mediocre perché nota a tutti, ad andare verso l'estremo, a proporre opere che, per allora, erano "oltre", sebbene proprio lui provenisse da un'arretrata isola delle solfatare.
Il regista parte da una base: la biografia di Matteo Collura intitolata "Il gioco delle parti". Nel libro viene descritta la vita famigliare dell'uomo con una moglie in manicomio e un amore totale per Marta Abba, con una carriera segnata anche da "Sei personaggi in cerca di autore", ma altalenante fra successi e scandali, e i suoi dubbi sul fascismo.
Anche Placido stesso è nel film, come la sua ex, tanto più giovane, Federica Vincenti; se l'uno interpreta Saul Colin, l'agente e collaboratore di Pirandello, l'altra veste i panni della summenzionata Abba.
Il protagonista è Fabrizio Bentivoglio, attore ineccepibile, salvo, in questa trasposizione cinematografica del genio siculo, non avere alcun accento di terra natia, quando Pirandello proprio in siciliano scriveva versi e opere. Una scelta la sua, o quella del regista, piuttosto discutibile e poco comprensibile.
Pirandello riteneva che la società costituisse una gabbia di simulazioni e che l'uomo stesso si avviasse alla sua dissoluzione e questo all'allora società spesso non piaceva.
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