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Giagnotti (Progetto ITACA): "Supportiamo il recupero di chi soffre di disagio psichico con 600 volontari; lockdown uno 'shock' per la salute mentale"

Il Giornale D'Italia ha intervistato Felicia Giagnotti, Presidente di Fondazione Progetto ITACA: "Promuoviamo informazione, prevenzione e inclusione sociale per chi soffre di disagio psichico; oggi contiamo 17 sedi, oltre 15.600 studenti supportati e progetti di reinserimento lavorativo"

20 Maggio 2025

Felicia Giagnotti, Presidente di Fondazione Progetto Itaca, è stata intervistata da Il Giornale D'Italia.

Ci parla della Fondazione Progetto Itaca, qual è il suo obiettivo e come si è evoluto il vostro impegno nel corso degli anni?

"Progetto Itaca è nata nel 1999 a Milano, inizialmente come un’unica sede. Per molti anni siamo rimasti presenti solo in Lombardia, ma quando abbiamo attivato una linea d’ascolto nazionale gratuita, un numero verde, abbiamo iniziato a ricevere telefonate da tutta Italia. Ci siamo resi conto che non potevamo limitarci a operare solo a livello locale, così abbiamo iniziato ad aprire nuove sedi: prima a Roma, poi a Firenze, Palermo, Napoli e via via in molte altre città. Da lì è nata l’esigenza di unire tutte queste realtà sotto un’unica struttura, e così è stata creata la Fondazione, che oggi conta 17 sedi in tutta Italia. Tutte operano con gli stessi obiettivi, gli stessi progetti e le stesse finalità. L’obiettivo principale di Progetto Itaca è, fin dall’inizio, quello di promuovere una corretta informazione sulla salute mentale, per contrastare stigma, pregiudizi e vergogna che colpiscono chi soffre di disturbi psichici e i loro familiari. Essendo nati dall’iniziativa di familiari e pazienti, sapevamo bene quali fossero i bisogni reali. Per questo, il nostro primo impegno è stato, e continua a essere, di tipo culturale e informativo: far comprendere che la malattia mentale è una malattia complessa, ma curabile.

Oltre all’informazione, offriamo anche supporto concreto a pazienti e famiglie, perché il percorso della malattia può essere lungo e difficile. Fin da subito abbiamo capito l’importanza della prevenzione e già dal 2001, prima ancora che nascesse la Fondazione, abbiamo avviato un progetto nelle scuole superiori, rivolto a ragazzi dai 16 anni in su, per aiutarli a riconoscere i primi segnali di disagio e malessere. L’obiettivo è far capire che il disagio psicologico va preso sul serio e affrontato tempestivamente, per evitare che possa evolvere in una malattia vera e propria. Nel solo 2024, ad esempio, abbiamo incontrato oltre 15.600 studenti in più di 150 scuole in tutta Italia. Negli ultimi anni, con l’aumento dei numeri e delle richieste, abbiamo anche sviluppato un progetto dedicato all’inclusione sociale e lavorativa. Molte persone colpite da disturbi mentali, soprattutto in giovane età, si trovano dopo anni di malattia con una vita sospesa: senza studi completati, senza rete sociale, senza lavoro. Per questo è nato 'Club Itaca', un centro diurno non medico, dove giovani tra i 18 e i 45 anni possono ritrovare una quotidianità, fare attività insieme, ma anche formarsi per un reinserimento nel mondo del lavoro. Offriamo corsi di informatica, inglese, preparazione ai colloqui e, per chi è pronto, accompagniamo anche l’inserimento lavorativo in aziende normali, con contratti regolari. Questo processo è seguito da tutor specializzati che supportano la persona e l’azienda fino a completa integrazione.

In sintesi, il nostro percorso parte dall’informazione e dalla prevenzione, passa per il supporto terapeutico e relazionale, e arriva fino all’inclusione lavorativa e sociale, con l’obiettivo di restituire alle persone una vita dignitosa e di qualità, come cittadini attivi e consapevoli."

Secondo un recente studio, 1 italiano su 3 dichiara di soffrire di disturbi psichici, a suo avviso, cosa ha contribuito maggiormente a questo aumento?

"Un fattore centrale è stata sicuramente la pandemia da Covid-19. Il problema dei disturbi psichici esisteva anche prima, ma il Covid ha rappresentato un elemento scatenante molto potente. La solitudine, l’isolamento forzato, la rottura dei legami sociali, soprattutto per i giovani, hanno avuto un impatto enorme. Penso, ad esempio, all’improvvisa interruzione delle attività scolastiche in presenza, delle attività sportive, del contatto con i coetanei, tutti elementi fondamentali per la crescita e l’equilibrio emotivo. Durante l’emergenza sanitaria si è pensato giustamente agli anziani come categoria fragile, ma si è sottovalutata la vulnerabilità dei giovani, che invece hanno risentito moltissimo di questo stravolgimento delle loro abitudini e della loro quotidianità. Laddove c’era già un disagio, la pandemia lo ha spesso trasformato in una vera e propria patologia. C’è stato un aumento esponenziale di ansia, depressione, attacchi di panico, senso di solitudine, incertezza verso il futuro. Tutti questi fattori hanno fatto salire in modo significativo i numeri relativi ai disturbi psichici. Tuttavia, c’è anche un aspetto positivo che possiamo trarre da questa difficile esperienza: si è finalmente aperto un dibattito pubblico più ampio sul tema della salute mentale. I dati preoccupanti hanno spinto la società, le istituzioni e il mondo della cura a prendere coscienza dell’urgenza del problema. Questo ha contribuito, almeno in parte, a superare lo stigma e il senso di vergogna che spesso circondano questi temi.

Noi, ad esempio, lavorando nelle scuole, abbiamo notato che i giovani oggi sono molto più aperti: parlano del proprio disagio, condividono esperienze legate all’ansia o agli attacchi di panico anche davanti all’intera classe. Chi fa più fatica, invece, sono spesso gli adulti, in particolare i genitori, che non sempre sanno come affrontare queste situazioni o come aiutare i propri figli. È fondamentale, quindi, che questo problema venga affrontato con serietà, investendo di più nelle strutture territoriali e nei servizi di cura. Oggi più che mai è necessario rafforzare il sistema di supporto psicologico e psichiatrico, perché ci troviamo davanti a una vera emergenza sociale."

Può condividere alcuni dati numerici sull’impatto che il lockdown e gli obblighi vaccinali hanno avuto sull’incidenza dei disturbi psichici?

"Non credo che gli obblighi vaccinali abbiano avuto un impatto diretto sull’insorgenza dei disturbi psichici. A mio avviso, non esiste alcun legame tra la vaccinazione e il disagio mentale o la malattia psichica. È vero che l’obbligo della vaccinazione di massa ha contribuito a far percepire la gravità della situazione sanitaria, aumentando la consapevolezza generale. Tuttavia, il vero punto di svolta, l’elemento che ha avuto un impatto significativo, è stato il lockdown, che ha rappresentato un vero e proprio shock per la salute mentale. I dati parlano chiaro, si è passati da una situazione in cui si stimava che 1 persona su 4 soffrisse di un disagio psichico, a 1 persona su 2 e questo aumento è stato particolarmente evidente tra i giovani. A questo proposito, è importante sottolineare che i disturbi psichici, o comunque i primi segnali di disagio, si manifestano spesso nella fascia d’età compresa tra i 14 e i 25 anni, che coincide con la fase di massimo sviluppo cerebrale. Negli ultimi anni, però, abbiamo assistito a un preoccupante abbassamento dell’età di esordio: oggi parliamo anche di bambini di 10-12 anni che mostrano segni evidenti di sofferenza psichica.

Purtroppo, il nostro sistema sanitario – e in particolare la neuropsichiatria infantile – non è adeguatamente attrezzato per fronteggiare questa ondata di disagio giovanile. Un esempio concreto è il pronto soccorso dell’Ospedale Bambino Gesù, uno dei principali centri in Italia: mentre in passato c’erano sempre alcuni posti disponibili, oggi non ce ne sono più. La richiesta di ricoveri è talmente alta che spesso non si riesce a rispondere neppure ai bisogni più urgenti. Parliamo di ragazzi che arrivano al pronto soccorso dopo episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio, forme di dipendenza da dispositivi elettronici o situazioni di isolamento sociale grave. Il lockdown ha esasperato tutte queste condizioni. Il disagio psichico nei più giovani è aumentato in modo allarmante e, purtroppo, le risposte del sistema restano ancora insufficienti."

Quali sono le principali priorità per il futuro della Fondazione?

"Negli ultimi anni, la Fondazione ha affrontato una fase di rapido sviluppo. Abbiamo ampliato la nostra presenza sul territorio, e nonostante le difficoltà del lockdown, siamo riusciti ad aprire due nuove sedi anche durante quel periodo. La nostra priorità è continuare a crescere: vogliamo estendere le sedi in tutte le regioni d’Italia, rafforzare i progetti nelle scuole e il supporto ai familiari, e investire con ancora più determinazione nell’inclusione sociale e lavorativa. Si tratta di proseguire un lavoro avviato da tempo, ma che oggi richiede un impegno ancora più forte per rispondere all’aumento dei bisogni.

Un obiettivo centrale per il futuro è costruire una collaborazione stabile con il settore pubblico. Progetto Itaca è nata come realtà del privato sociale, fondata su volontariato e iniziativa civica. Tutto ciò che abbiamo realizzato – dai percorsi formativi ai progetti – lo abbiamo costruito con le nostre competenze ed esperienze, affiancati da professionisti come psichiatri e psicologi che ci forniscono il supporto tecnico necessario. Tuttavia, oggi crediamo sia fondamentale superare l’azione isolata. Vogliamo che il rapporto con il pubblico – inteso sia come strutture sanitarie territoriali (Dipartimenti e Centri di Salute Mentale), sia come istituzioni politiche (ministeri, regioni, enti locali), diventi una collaborazione strutturata e continuativa. Il terzo settore può svolgere un ruolo complementare e prezioso, contribuendo con competenze, esperienza e risorse umane a rafforzare il sistema pubblico, che da solo spesso non riesce a far fronte alla crescente domanda. In questo senso, auspichiamo che venga riconosciuto ufficialmente il valore delle buone pratiche che già mettiamo in atto, e che la co-progettazione diventi parte integrante della programmazione sanitaria, soprattutto nell’ambito della salute mentale. Possiamo offrire un contributo concreto nella definizione degli interventi, nel rapporto con le famiglie e nel valorizzare il ruolo dei caregiver come parte attiva del percorso di cura. Un segnale positivo in questa direzione è già in atto: siamo coinvolti nel tavolo tecnico ministeriale sulla salute mentale, che sta definendo le nuove linee guida nazionali. Questo ci permette di portare la nostra esperienza all’interno dei processi decisionali, arricchendo la prospettiva clinica con quella vissuta e relazionale.

Il nostro futuro, quindi, guarda a una collaborazione sempre più integrata con il sistema pubblico, con l’obiettivo comune di migliorare la qualità della vita delle persone che convivono con un disagio psichico."

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