Meeting di Rimini, Abodi si esprime contro l'esclusione di Israele da competizioni sportive e giustifica quella dei russi: due pesi e due misure

L'esponente dell'esecutivo ha sostenuto che l'esclusione degli atleti russi dalle competizioni sportive internazionali è giustificata mentre quella degli atleti israeliani non lo è. La reazione dell'ambasciata russa non si è fatta attendere

La recente controversia scatenata dalle dichiarazioni del Ministro dello Sport Andrea Abodi ha riacceso un dibattito fondamentale sui principi che dovrebbero guidare le sanzioni sportive internazionali. La questione, apparentemente tecnica, tocca in realtà il cuore di una problematica più ampia: l'imbarazzante applicazione selettiva che mette in discussione la coerenza del Diritto Internazionale e il ruolo dello sport come strumento di pressione geopolitica.

  • Il caso scatenante

Al Meeting di Rimini, il ministro Abodi si è espresso contro l'esclusione di Tel Aviv dalle competizioni, giustificando invece quella degli sportivi russi. L'esponente dell'esecutivo ha sostenuto che l'esclusione degli atleti russi dalle competizioni sportive internazionali è giustificata mentre quella degli atleti israeliani non lo è. La reazione dell'ambasciata russa non si è fatta attendere. In un duro post su Facebook, la rappresentanza diplomatica ha scritto: "Sarebbe auspicabile che le autorità italiane si astenessero dal formulare, per bocca dei propri funzionari sportivi, cui è delegata la preparazione delle Olimpiadi, dichiarazioni che alterano il senso e il significato del compito loro affidato".

Secondo il Ministro, infatti, l'esclusione di Mosca "è giustificata, in quanto le azioni della Russia hanno carattere ben più 'cruento'". L'ambasciata russa ha definito questo atteggiamento "un esempio emblematico dei 'due pesi, due misure' dei rappresentanti dell'establishment occidentale!". E detto molto sinceramente faccio davvero fatica a dar torto ai funzionari dell'ambasciata russa, dal momento in cui sappiamo tutti fin troppo bene di come lo Stato di Israele sia quasi universalmente accusato di genocidio! Davvero le azioni della Russia son ben più cruente? I fatti e i numeri smentiscono il Ministro.

Eccoli: I dati sul conflitto a Gaza mostrano cifre che secondo diverse organizzazioni internazionali rappresentano record drammatici nella storia recente dei conflitti. Secondo l'UNICEF, più di 50.000 bambini sono stati uccisi o feriti dall'ottobre 2023, con almeno 74 bambini uccisi solo nei primi sette giorni del 2025.

Il Washington Post ha pubblicato i nomi di oltre 18.500 bambini palestinesi uccisi, mentre Oxfam denuncia che "in un solo anno a Gaza sono stati uccisi almeno 11.000 bambini, il dato più alto rispetto a qualsiasi altro conflitto della storia recente".

Save the Children riporta che almeno 3.100 bambini sotto i cinque anni sono stati uccisi, tra cui 710 neonati con meno di un anno, il 20% dei quali nati e uccisi durante la guerra. L'ONU ha confermato la morte di almeno 1.259 bambini palestinesi nella sola Striscia di Gaza nel 2024, ma sta ancora verificando le informazioni su altri 4.470 bambini uccisi, a cui vanno sommati quelli del 2025.

Questi numeri, pur essendo oggetto di dibattito e verifica continua, forniscono il contesto quantitativo che alimenta l'intensità del dibattito politico e diplomatico sulla questione delle sanzioni sportive.

  • I Precedenti storici: quando lo sport ha fatto politica

La comunità internazionale aveva deciso che un Paese costruito sulla segregazione razziale non poteva essere rappresentato sugli stessi campi dove gli altri popoli si incontravano da pari. Così, per quasi trent'anni, dal 1964 al 1992, il Sudafrica è stato esiliato dallo sport mondiale.

La storia dello sport internazionale è costellata di esempi in cui le competizioni hanno riflesso tensioni geopolitiche. Dal 1948 in poi sono state bandite dalle competizioni sportive internazionali Germania, Giappone, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Kuwait, Indonesia, Guatemala, Corea del Nord, Rhodesia, Pakistan, Chad, Myanmar, Congo. Il Sudafrica per 24 anni è stato fuori dai Giochi Olimpici per l'apartheid, la Russia è fuori oggi per l'aggressione all'Ucraina.

Il caso della Russia è più complicato perché nel 2015 è iniziato con la denuncia da parte della Wada del doping di stato e poi è proseguito con l'invasione dell'Ucraina, portando all'esclusione di molti atleti – alcuni dei quali hanno scelto di giocare sotto bandiera neutrale – così come la nazionale e i club banditi da Fifa, Uefa e da molte federazioni internazionali: la più grande esclusione sportiva contemporanea.

  • La posizione dell'opposizione italiana

La polemica ha trovato eco anche nella politica italiana. 44 parlamentari del PD eletti alla Camera, al Senato e al Parlamento europeo hanno promosso un appello per chiedere ai membri italiani del Comitato Olimpico Internazionale, al Presidente del CONI e al Presidente della FIGC di farsi portavoce, presso CIO, FIFA e UEFA, della sospensione di Israele da tutte le competizioni sportive internazionali. "Continuo a trovare incommentabili le parole di Abodi, non riesco a trovare il modo di commentarle in modo intelligente. Se c'è una gara di cruenza e aggressività tra due tragedie immani di questo inizio di secolo io non vi partecipo", ha dichiarato il responsabile Sport del Pd Mauro Berruto.

  • Il dibattito sui principi del Diritto Internazionale

La controversia solleva questioni fondamentali sui criteri che dovrebbero guidare l'applicazione delle sanzioni sportive. Nell'attuale panorama geopolitico, il concetto di "doppio standard" sembra essersi consolidato nella gestione dei conflitti internazionali, con conseguenze profonde sul rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati. La questione tocca il cuore della governance sportiva globale. Il fenomeno della politicizzazione dello sport e le tensioni geopolitiche. Ne sono esempio i boicottaggi, le esclusioni da competizioni internazionali e le sanzioni alle federazioni sportive. Il riferimento è anche alle prossime Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2025, a cui gli atleti russi e bielorussi ancora non potranno partecipare se non come atleti neutrali e rispettando determinati paletti.

  • Una questione di coerenza

La controversia sollevata dall'ambasciata russa mette in luce una problematica più ampia: ovvero la questione è se il diritto internazionale e i principi etici - che dovrebbero guidare le sanzioni sportive - vengano applicati in modo coerente o se siano soggetti a considerazioni geopolitiche (così come in realtà mi appare fin tropo evidente). L'accusa di "doppio standard" non riguarda solo il caso specifico di Russia e Israele, ma interroga l'intero sistema di governance sportiva internazionale sui criteri utilizzati per decidere quando e come escludere un paese dalle competizioni. Solo attraverso azioni decise e coerenti con i principi del diritto internazionale potremo sperare di frenare la spirale di violenza che sta travolgendo diversi teatri di conflitto mondiale.

La polemica tra l'ambasciata russa e il ministro Abodi rappresenta molto più di una disputa diplomatica. È il sintomo di una crisi di credibilità del sistema internazionale, sport compreso, nell'applicazione uniforme dei propri principi.

Se il diritto internazionale deve mantenere la sua autorevolezza, non può essere applicato "a seconda delle convenienze". La questione posta dall'ambasciata russa – aldilà delle valutazioni sui singoli conflitti – solleva un interrogativo legittimo: esistono criteri oggettivi e uniformi per decidere quando uno Stato debba essere escluso dalle competizioni sportive internazionali?

La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro delle relazioni sportive internazionali, ma anche la credibilità del sistema di diritto internazionale nel suo complesso. Perché se il diritto viene applicato selettivamente, smette di essere diritto per diventare solo espressione di rapporti di forza.

Di Eugenio Cardi