16 Febbraio 2025
Compare sul palco di Sanremo questo Edoardo Bove, ex calciatore della Fiorentina e forse della Nazionale stroncato a 22 anni da un infarto in campo. Un “malore improvviso” che per volontà di Dio gli ha scampato la vita ma non la carriera. Pallido, scioccato, ha negli occhi la disperazione di chi ha chiuso e lo sa. Dice, balbettando, come se dovesse ancora cadere di colpo, cose incomprensibili, ringrazia la sanità pubblica, il destino, cose senza senso pur di non dire quello che gli hanno vietato di dire, ma che tutti sanno e che anche lui sa. Bove come tutti gli atleti fu obbligato o convinto a vaccinarsi, più volte, ed è uno dei mille giovani sanissimi, supercontrollati, che ogni anno dal 2022 stramazzano improvvisamente su un prato, in una piscina, un rettangolo in terra battuta, una pista di atletica, in bicicletta, su un ring. Molti con esito fatale, chi sopravvive con l'angoscia di un sogno spezzato nel fiore dell'età senza l'ombra di un futuro. La scena è angosciante, pietosa, ma mette anche rabbia: amici mi bersagliano di messaggi, “ma cosa sta dicendo? Ma come può ripetere cose simili?”. Ma Bove è un calciatore e i calciatori, come diceva l'allenatore Boskov, “hanno testa buona per mettere cappello”; ha 22 anni ed è traumatizzato, lo fanno seguire dagli psichiatri per impedirgli gesti insani più che possibili a vederlo in questo momento. A tanto arriva il cinismo di Conti, di Sanremo, della Rai. Prima la modella Bianca Balti, spaventosa, un Nosferatu ilare, poi questo spettro di giovane, di calciatore, che ammette quello che può, ammette la confusione, la disperazione, ma oltre non va. È qui per questo, come la Balti, come l'anno scorso Allevi: tramite il silenzio degli innocenti, delle vittime, fare propaganda a ciò che le ha distrutte. Come nelle dittature più feroci e più infami.
Perché si prestano? Ma è una domanda inutile, non c'è uno che abbia ammesso, la pressione è insostenibile, il conformismo una dittatura che non lascia spiragli. Nell'illusione di preservarsi, se ammetto, se esco allo scoperto non mi fanno più lavorare, sta l'illusione di cavarsela, di poter guarire. Potrebbero non andare, ma quando stai così, reduce da una carezza della morte che lascia addosso e dentro la sua piaga per sempre, non sei lucido e vuoi uscirne in qualche modo, tornare a sentirti vivo tra i vivi e più il baraccone è rutilante, più ti stordisce di luci e di illusioni e più ci vai. Dopo il siparietto, agghiacciante, da urlare, del calciatore finito Edoardo Bove, torna, ad onta di grottesco, la modella finita Balti per una nuova effimera apparizione. Nelle stesse ore la ex infermiera berlusconiana Ronzulli, che in commissione Covid fa il comodo suo e comanda, mandava l'ennesima provocazione ai novax, da non perdonare, da punire, da multare, da maledire, con la scusa che i vaccini avrebbero salvato l'umanità.
Ma nella disponibilità delle vittime a farsi macellare ancora nel mattatoio Sanremese, nel precoce pensionato Bove che regala la sua maglia a Conti, tanto a lui non serve più, c'è qualcosa di più lugubre e definitivo, come la consapevolezza del baratro: hanno vinto gli aguzzini e tutti i morti post vaccinali del mondo non serviranno a costruire una parvenza di consapevolezza nella verità. La copertura, il blocco davanti allo sfacelo conclamato ha dell'agghiacciante: non uno ha tradito una incertezza, un ripensamento, neppure in modo parziale, indiretto, implicito, neppure per allusione. Non uno dei cosiddetti vip, non un politico, non un giornalista d'apparato, non Mattarella, non Bergoglio che entra ed esce dall'ospedale sempre per la solita polmonite virale che da tre anni non riesce a debellare. Ieri sempre sul palco dell'Ariston un Venditti da film horror ha rivelato di trascinarsi una febbre fissa a 37,5° da due settimane. È come se tutti sospettassero, capissero ma, non potendo ammettere niente nemmeno con loro stessi, ogni tanto tradissero qualche timore, un disagio, un bisogno di sfogarsi subito represso, subito rimangiato. E anche questo fa parte della sindrome complessiva, sindrome sociale che non possiamo superare. Far finta di essere vivi, come diceva Gaber. Bove tace, Sinner tace, e più uno tace più centomila si convincono che è meglio tacere. Per questo gli Speranza e tutti gli altri non pagano, per questo la faranno franca: restano malgrado tutto nel regime condiviso, che si blinda e manda avanti le sue stesse vittime, le esibisce a sfoggio di potere, le induce a omertà, le fa parlar d'altro purché non si parli, le ammaestra a ringraziare la pubblica sanità che li ha indotti a sacrificio. Lo smarrimento complice di Bove davanti a 13 milioni che lo ascoltano è una propaganda formidabile, insuperabile: tu puoi mandare avanti i medici eretici, produrre le statistiche, spiegare i meccanismi, tu puoi scrivere articoli e libri, girare l'Italia a far conferenze, ma se uno non ha il coraggio di dire la mia carriera è finita, la mia vita è finita per una siringa, se fa finta di credere al destino, se ringrazia per ciò che gli hanno fatto, è tutto inutile. Ed è quello che accade. Conti congeda ciò che resta di un uomo, di un giovane uomo con la formula più pretesca e insopportabile: “Ti auguro veramente tutto il bene possibile”. Tranne la verità.
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