28 Novembre 2024
Vado in banca e mi accolgono come un sopravvissuto, anzi un revenant, un redivivo: non ci mettevo piede da quindici mesi. Visto che sono ancora tra loro mi chiedono, e mi accorgo che nessuno mi fa più le facce, i risolini quando dico che è stato il vaccino, anzi tutti sempre annuiscono gravemente, come a dire: ah, vedi. Adesso è tutto chiaro, resistono solo i mistici come quel don Gozzelli di Godega nel Trevigiano che si vanta delle sue 6 dosi “per proteggere” il gregge dei fedeli. Ma la protezione servirà più a lui, temo. Chissà se sostituire il Dio della provvidenza con un intruglio diabolico gli schiuderà le porte della salvezza. Di gente sovreccitata se ne trova dappertutto e il don Mauro un po' delira: “Essere cristiani vuol dire proteggere la salute pubblica”; e dice di pregare “anche per i ricercatori”. Per quelli che dopo due, tre dosi cascano stecchiti no, coincidenze esoteriche o sviste del Padreterno, chi muore giace, chi vive si dà pace ma non potete venirmi a dire sia normale che il luminare professor Giancarlo Comi, neurologo, tra i massimi esperti di sclerosi multipla, si accasci mentre sta parlando a un convegno. Cos'è, il millesimo, il decimillesimo caso in pochi mesi? Solo ieri ne ho scoperta un'altra raffica: di “malattia fulminante” si arrende un 57enne sardo, Giulio Zucchelli, e, a quanto è dato sapere, un 60enne fiorentino, il giornalista Franco Mariani del quale il Tirreno in una pagina intera non trova una parola per spiegare la causa; di colpo secco un livornese 36enne, Simone Cingolani, trovato esanime nel suo letto, il citato professor Comi, il ciclista belga di 19 anni Tuur Hancke, un sessantenne napoletano, mentre si salva a stento un sedicenne della Bergamasca che si affloscia durante l'ora di ginnastica e lo salvano col defibrillatore. “Un miracolo”. Se a voi sembra normale. Ma il don Mauro si vaccina come un puntaspilli e prega per chi glielo somministra, sicuro sia un dovere civile e magari religioso. Chi non se la passa tanto bene è la popstar Elton John: prima gli è saltata un'anca, poi la prostata, adesso non ci vede da un occhio, non può cantare, incidere. Me lo ricordo tre anni fa negli spot vaccinali a spalluccia scoperta con quell'altro bel tipo, il divo del cinema Michael Caine.
C'è un limite oltre il quale il fanatismo si trasforma in malafede, in pervicace volontà di non voler sapere, non voler capire. È il limite dei numeri, della scienza che si svela, si corregge. È il limite dell'umanità che un ministro di Dio non dovrebbe mai superare, ma quasi tutti i preti in pandemia si sono distinti per iniziative tra il supertizioso e il demenziale, come quel parroco che battezzava i neonati con la pistola ad acqua. E i fedeli, pecorelle smarrite, restavano fuori dalle chiese “chiuse quando ti vuoi confessare”, come dice la canzone di Venditti, oppure ammessi ma insaccati in maschere, tute, caschi, celebrazioni empie, manicomiali. La chiesa, guidata dal papa che non cammina più, si è distinta nella sua responsabile irresponsabilità, nell'abiura, nel servilismo di Stato. Vaccinarsi dovere cristiano? O lo è il dire le cose come stanno, “si – sì, no – no”? E non sarebbe doveroso prendere atto che si erano sbagliati, che avevano riposto la loro speranza non nel Dio misericordioso ma nelle alchimie del potere? Io stesso conosco preti esagerati che a un certo punto non camminavano più, si trascinavano con problemi deambulatori, metabolici. Il vaccino come esorcismo, senza sospettare che poteva fare male, poteva uccidere. E senza ammetterlo oggi. Ma se un sacerdote passa dal celebrare un funerale la settimana a due al giorno, qualche sospetto non gli viene? O si regola alla maniera dei gesuiti, “nisi caste, caute” che sarebbe: se proprio dovete, peccate, ma con discrezione, senza espiare, senza dirlo, lasciandolo inter nos? Ma lasciare le conseguenze di un farmaco pericoloso inter nos significa alimentare una strage già immane, che non accenna a smettere. Spesso ho accusato i tanti artisti che, malati più o meno gravemente, stanno zitti, che in privato ammettono ma pubblicamente muti, preoccupati più di non lavorare che di non farcela. Nessuno col coraggio di testimoniare, di riconoscere. La pressione è ancora fortissima, una pressione da regime totalitario, la paura di finire alla berlina sui social è più forte della dignità, dell'impulso civile, perfino della rabbia e della disperazione. Uno di questi artisti, con un male simile a quello mio, mi ha promesso recentemente: appena risolvo, parlo. Ti aspetto, amico mio, perché sono così stanco di fare tutto da solo, di sciogliere ogni giorno il rosario delle maledizioni di quelli che mi chiedono “come sta il tuo cancro?”, “ma ancora sei vivo?”. Me l'hanno chiesto anche in banca, però con gli occhi della compassione. Doppia compassione per chi sta passando l'inferno e non lo meritava, a chi tocca tocca, d'accordo, ma non se lo meritava. Non così. Non per le menzogne di un potere lugubre che insiste, non per il fondamentalismo cieco la di chi trasforma una fiala venefica in un feticcio.
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