11 Settembre 2024
La regola italica, la morale italica è chiara ed è quella predicata dal principe di Salina nel Gattopardo: “cambiare tutto pur che nulla cambi”, quanto a dire la somma ipocrisia elevata a regola mistica ovvero il gattopardismo come carattere nazionale apprezzato e invidiato: quello è un gattopardo, uno che si sa muovere, uno di quei paraculi che vanno con il vento e restano sempre in sella. Ma bisognerà pure capire che se si vuole cambiare davvero occorre cambiare e cambiare tutto, non di facciata, non per mera perpetuazione di potere dopo i disastri sociali a seguito dei quali i responsabili, i gattopardi, restano in sella e magari con più potere di prima. Vedi la immaginifica commissione Covid che è nient’altro che un prodromo o prova generale per il governo tecnico che, fatta fuori la parvenu di Colle Oppio, dovrebbe vedere riunito l’assetto di prima, Forza Italia col PD, Tajani con Ilaria Salis, sotto la guida di Gentiloni e la regia di Mattarella: un governo pieno di tecnici, per dire burocrati europei, i gattopardi vaccinisti e chiusuristi del sovrastato autoritario, dediti alle ricette dall’esito sicuramente catastrofico a spese del cittadino plebe. Con qualche boccalone della Lega e dei Fratelli d’Italia che ci casca o almeno finge di crederci, sta alla finestra, pronto a riciclarsi a sua volta, da gattopardo esperto. Così le tragedie evitabili diventano inesorabili nella ripetizione, proprio come la pandemia autoritaria che ha avuto molti padri: fra questi, i medici burocrati, la medicina istituzionale, almeno a detta di altri medici, gli spretati, gli eretici, fatti fuori, sospesi a vita o perfino radiati per aver detto le cose come stavano scientificamente, dunque in modo intollerabile dalla Narrazione irresponsabile e gattopardesca. Fioccano le lettere, polemiche, durissime, aperte, di medici ad altri medici, contro l’Ordine dei medici e il suo presidente, come quelle del dottore pensionato Cesare Atticciati o della dottoressa oggi giornalista e scrittrice Silvana Demari, altre accuse volano in camera caritatis o per le corsie degli ospedali e quante ne ha intercettate anche il vostro cronista nei lunghi mesi della sua malattia. Le accuse sono le solite: eccessiva compiacenza verso il potere, censure ed autocensure, boicottaggio delle profilassi e delle terapie realmente efficaci a vantaggio di soluzioni vane e micidiali, distacco e indifferenza verso i pazienti, mancanza di presenza reale, domiciliare, carrierismo, opportunismo, protagonismo, ideologia (che però è sempre funzionale al potere), fanatismo, fino alle menzogne, gravissime, imperdonabili, su queste mele avvelenate, questi vaccini che non vaccinavano, non proteggevano, non “garantivano di trovarsi fra sani” come mentiva Draghi, l’economista purtroppo prestato alla politica. Poi si può discutere, si possono trovare simili accuse fondate o eccessive, almeno in parte, ma quello che è sicuro, che resta incontestabile è che molte cose non hanno funzionato nella Sanità assuefatta o ipnotizzata; certissimo anche il voltafaccia o pentimento di moltissimi medici che non hanno forza o coscienza di ammetterlo pubblicamente, di denunciare i propri errori – chi ce l’ha avuto, del resto? -, ma in privato abbassano gli occhi e il tono di una voce che da arrogante si è fatta come il mormorio del bosco, sicuro segno di mortificazione.
Queste lettere non sono estemporanee, hanno una loro tempestività, guardano all’imminente rinnovo delle cariche in seno all’Ordine dei medici. Sono di sanitari che vogliono, o almeno così sostengono, cambiare per davvero, per esempio al Consiglio dei medici chirurghi e odontoiatri di Roma e provincia dove è sorta una “Lista Ippocrate” con tanto di manifesto programmatico, scandito in punti. È un documento corposo, anche troppo, con larga enfasi, e l’enfasi è parente stretta della retorica, su alcune condizioni considerate irrinunciabili: l’autonomia della professione (dalla politica, evidentemente, e qui però sarebbe da fare maggiore chiarezza, per esempio vietando esplicitamente di accettare inviti e candidature almeno sotto mandato), la dignità dalla professione, giudicata per forza di cose compromessa dopo le recenti vicende pandemiche, la vicinanza al paziente, l’umanità dell’approccio, l’oggettività nella valutazione dei riscontri clinici e scientifici, per dire basta col machiavellismo sanitario da fine che giustifica ogni mezzo, anche il più losco; più altre questioni maggiormente interne, tecniche o burocratiche. Sono precondizioni improntate a deontologia e come tali ovvie, che dovrebbero essere ovvie, ma delle quali si è manifestamente perso il senso e l’applicazione. Sono il ritorno alla professione medica, né più né meno: il che può suonare benissimo retorico, e la retorica è a sua volta parente stretta dell’opportunismo, del gattopardismo, ma come dire altrimenti che qui bisogna davvero cambiare tutto per cambiare tutto? Che non è più tollerabile, non è eticamente e scientificamente ammissibile che un medico il quale osi fare il medico, non il passacarte o il burocrate più o meno zelante, finisca giudicato come un delinquente e isolato, neutralizzato di conseguenza?
Perché di questo si è trattato e questa è una delle miserie sotto il regime pandemico che abbiamo conosciuto, e che sicuri segni ci dicono ogni giorno essere pronto a tornare. Perché il governo tecnico ha più possibilità se nessuno lo contesta e chi è recluso non può contestare; perché il gattopardismo aborre la resa dei conti la quale arriva solo sulla scia delle prese di coscienza; perché l’uso italico di obbedire, di prestarsi alla ignominia pur di difendere il proprio “particulare” non va incrinato, pena il crollo dell’intelaiatura amorale e cialtronesca del Paese. Chi scrive ha raccolto confessioni di medici che dicevano “anche io ho avuto voglia di fare come De Donno”, non sopportando più le pressioni canagliesche e ingiuste; chi scrive sa di medici indotti a cambiare addirittura Paese dopo essere stati convocati dall’Ordine di riferimento e per cosa? Per qualche like sui social riferito a contenuti di altri medici considerati infami. Eravamo alla rappresaglia aperta, alla minaccia volgare, omicida di sanitari contro pazienti, al demerito che premiava i peggiori, i più scarsi ma ambiziosi, loschi, compromessi. E magari corrotti, pagati dai produttori di mele avvelenate per dirne tutto il bene mentre la gente cadeva dopo averle assaggiate.
Io non so molto di questa Lista Ippocrate su Roma, non conosco quasi nessuno dei sanitari che vi si affacciano; so però che in un anno di cure e di convegni dove mi chiamano nel ruolo di paziente, di malato di linfoma, ne ho conosciuti tanti di dottori e ho imparato a distinguere la retorica buona da quella pessima, l’enfasi che occorre da quella superflua, ho imparato a capire di chi fidarmi e da chi girare alla larga. E se in questa lista trovo anche solo uno di questi scienziati, peraltro di vaglia internazionale, penso che gli altri siano per forza compatibili, penso che quello spingere sull’umanità della professione non sia populismo sanitario ma un grido di allarme che non ha più tempo da perdere. Non santi in processione, che non ci servono, ma una cosa è certa: c’è bisogno di gente che torni da ipocrita a Ippocrate, per dire a curarci non per dovere ma per istinto, se non per missione, capace di ricordare che davanti si trova un essere umano ferito, debole, confuso, esposto ad ogni speranza, ad ogni illusione; e questo, purtroppo, è quanto ci è capitato, col risultato di finire nella migliore delle ipotesi inchiodati a una poltrona da chemio per mesi e mesi. A milioni ci siamo fidati di un potere che potevamo giudicare compromesso, ma non al punto da rivelarsi tanto spregiudicato, così ferocemente cinico: “Questa roba uccide”; “Ih, sai quanti ne debbono morire, ma che facciamo? Uccidiamo i vaccini?”. Questo ci ha condannato, questo va scongiurato in futuro. Io non sto segnalando nessuno, non ho le conoscenze, sto solo sperando, con una fisiologica dose di disincanto, che i medici tornino a fare i medici, senza terrorizzare chi è già sconvolto. Senza ricattare chi non può difendersi. Perché questo è stato l’orrore sommo. Sto dicendo, semplicemente, che il gattopardismo machiavellico ha rotto i coglioni e che, quando in ballo c’è la salute, può fare, come ha fatto, come continua a fare, danni spaventosi, a livello di strage diffusa. Ed è atroce che a menare la danza debbano essere ancora i responsabili, non alludo per forza ai medici, parlo di sistema, di regime diffuso, parlo di molteplici istituzioni e centri di potere, ma comunque i responsabili, a vario titolo, di questo abominio ad ogni livello. Se si pensa che perfino il Corriere, massimo organo propagandistico del regime sanitario, si è spinto a riferire di una ricerca dell’università di Washington secondo la quale il lockdown infinito, misura inutile, come ammesso dal suo ideologo, lo Stranamore Anthony Fauci, ha provocato nei più giovani una sindrome dell’invecchiamento precoce calcolata in 2 anni per i maschi e 4 per le femmine. È il celebre disturbo da stress post traumatico che distrugge quelli che tornano dalla guerra, ed è inguaribile. Gli effetti, annunciati, attesi, li constatiamo ogni giorno, ma all’epoca i sanitari che osavano ipotizzarli finivano nella disperazione dei paria, sottoposti a gogna dai manutengoli del regime, radiati, esposti a disprezzo professionale. E si uccidevano.
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