15 Febbraio 2022
Lo stigma rappresenta uno degli ostacoli maggiori per l’accesso alle cure delle persone con dipendenza, a dirlo è l'Istituto Europeo Dipendenze. Lo stigma è il “marchio” con cui un gruppo sociale indica gli appartenenti ad un gruppo diverso come portatori di un valore negativo. Attraverso questo un individuo viene riconosciuto come “diverso” e non accettabile non per le sue caratteristiche personali, ma in quanto membro di una categoria. Il marchio che viene attribuito è negativo e comporta giudizio ostile, disprezzo, condanna e comportamenti di esclusione e discriminazione.
"Il fatto che da ormai vent’anni la dipendenza sia considerata una 'malattia', grazie alla individuazione dei meccanismi neurobiologici, psicologici, comportamentali e culturali che la caratterizzano, non ha permesso di superare lo stigma verso i 'drogati' - dice Emanuele Bignamini, Direttore del Comitato Scientifico dell'Istituto Europeo Dipendenze - Il forte (pre)giudizio negativo collettivo, spinge il 'tossico' a cercare di nascondere, dissimulare il proprio comportamento e finisce per inibire la richiesta di aiuto e a favorire l'isolamento".
Lo stigma è un funzionamento costante della società umana ed è sempre stato attivo nella storia: verso i "negri", verso gli omosessuali, verso gli immigrati. È come se la società umana, o meglio un sottogruppo di una società, avesse necessità di definire dei confini netti per affermare la propria identità e i propri standard di funzionamento come “buoni” a scapito di altre identità e modi di essere definiti come “cattivi” e quindi degni di essere perseguiti ed espulsi.
La dipendenza (da sostanze o meno) è una delle condizioni oggetto di stigmatizzazione: il “tossico” o l’alcolista o il giocatore d’azzardo vedono riassunta la loro complessità di persone in un giudizio spregiativo che scaturisce dai pregiudizi comuni che li vedono come persone pericolose, che fanno danni, che trascurano il lavoro, indifferenti agli affetti, assorbite dalla loro ossessione.
Lo stigma può essere introiettato da chi ne è vittima: cioè chi è disprezzato può, anche se sembra paradossale, condividere il disprezzo che lo colpisce. Spesso chi ha una dipendenza pensa molto male di sé, considerandosi una persona di poco valore, debole, incapace, fallito, vergognandosi della sua situazione. In questo meccanismo trova radici la difficoltà di chi ha un’addiction a chiedere aiuto e a farsi curare: sia per la paura di uscire allo scoperto ed essere riconosciuto come “tossico” (e quindi per definizione non affidabile, debole, vizioso, pericoloso) sia per la difficoltà di riconoscere con se stesso di avere quel problema, che lui stesso considera spregiativamente.
In una recente intervista sul tema pubblicata sul New England Journal of Medicine, Nora Volkow (direttrice del National Institute on Drug Abuse) elenca le tre direttrici su cui intervenire per combattere lo stigma associato al disturbo da uso di sostanze:
- Componente Strutturale: umanizzare il tema favorendo la diffusione di un’adeguata formazione delle professioni sanitarie.
- Componente Sociale: educare le persone su cosa sia l’addiction in modo da poter familiarizzare con il problema e la sua diffusione favorendo l’inclusione delle persone con dipendenze.
- Componente Individuale: favorire un linguaggio corretto, non stigmatizzante e rispettoso della persona in modo da contrastare il senso di rifiuto sociale.
Liberarsi dallo stigma è un presupposto necessario per poter sviluppare al meglio l’intervento tecnico di cura della dipendenza senza cadere in soluzioni errate ed inefficaci.
L'ISTITUTO EUROPEO DIPENDENZE (IEuD) mette la massima cura nel proteggere dallo stigma i suoi clienti attraverso la più alta attenzione alla riservatezza; allo stesso tempo impegna tutte le proprie energie nel confronto con i pazienti, con i loro familiari nel far comprendere che la dipendenza rappresenta un funzionamento molto più diffuso e sottile di quanto si pensi e, in una certa misura, interessa tutti gli esseri umani. La presa di coscienza che ogni persona cerca una risposta al senso della propria vita e che relazioni affettive, eventi di vita, esperienze e pressioni ambientali costituiscono una sfida per ciascuno, permette di guardare all’altro con maggiore tolleranza avendo superato pregiudizi e discriminazioni.
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