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IEuD: Cresce la domanda di cura per l’abuso di alcol e cocaina. Bignamini: “Autovalutazione per aumentare consapevolezza”

Il Direttore dell' Istituto europeo dipendenze a Il Giornale d’Italia: “La pandemia ha prodotto la presentificazione del fatto che corriamo il rischio di morire, con due reazioni polarizzate: l’ansia estrema o la negazione della realtà. L’addiction si incastra in questa dinamica”

23 Settembre 2021

IEuD: Cresce la domanda di cura per l’abuso di alcol e cocaina. Bignamini: “Autovalutazione per capire i rischi”

Emanuele Bignamini

 “Colui che farà ricorso a un veleno per pensare ben presto non potrà più pensare senza veleno” scrive Baudelaire nei suoi celebri ‘Paradisi artificiali’.  Il complesso tema delle dipendenze è variegato e molteplice, e non riguarda solo i giovani o le droghe comunemente indicate come ‘pesanti’.

Si pensi alla dipendenza affettiva, che, anche se non pare immediatamente connessa a un’intossicazione fisica, può comunque rivelarsi dannosa e portare talvolta anche alla morte, come dimostra la piaga del femminicidio. Poi c’è la cocaina, l’alcol, i cannabinoidi, ma anche i farmaci e il sesso. Queste sono le dipendenze trattate dallo IEuD, l’istituto europeo per il trattamento delle dipendenze, il quale ha diffuso ieri i risultati di 5000 questionari di autovalutazione sul consumo di alcol e cocaina.

Nello specifico questa estate IEuD ha proposto, sulla propria piattaforma digitale, a partire dal proprio sito istituzionale https://istitutoeuropeodipendenze.it, due questionari del tutto anonimi. Sono stati raccolti ben 5.491 questionari di cui 3.618 questionari sull’alcol e 1.873 sulla cocaina, un numero decisamente alto a conferma del fatto che chi fa uso di sostanze cerca informazioni sul web e risponde positivamente a domande di interattività. 

Come sottolinea il Dott. Emanuele Bignamini, Direttore del Comitato Scientifico di IEuD, in una società volta a negare la morte, il problema dell' assunzione di stupefacenti che innescano dipendenze rischia di pullulare maggiormente. 

Assistiamo difatti sempre più al fenomeno di rimozione attraverso il quale, a livello individuale e collettivo, l’uomo post-moderno tende a sacrificare l’individualità e la fede all’altare del progresso, all’imperativo dell’Euferia perpetua:

“Lutto, dolore, malattie sono divenuti il grande assente nel pensiero dell’ideologia laica moderna, e hanno acquisito lo statuto poco invidiabile di residuo, in una società in marcia verso l’avvenire”, sottolinea Bruckner.

Lungi da un edonismo classicheggiante, il ‘dover essere felici’ assume tutte le caratteristiche di un’allucinazione collettiva: con orrore è vista la ‘semplice presenza della morte nel pieno della vita felice, poiché ormai è generalmente ammesso che la vita è sempre felice o deve sempre averne l’aria’ (Elias, 2019). Di questo e di molto altro abbiamo parlato proprio con Il Dott. Emanuele Bignamini.

L'intervista de Il Giornale d'Italia al Dott. Emanuele Bignamini

VIDEO-L'intervista de Il Giornale d'Italia al Dott. Emanuele Bignamini

Perché avete avvertito l'esigenza di lanciare un questionario di autovalutazione, diretto a chi consuma alcol e cocaina?

Operiamo su scala nazionale da ormai 4 anni e, tra le persone che si rivolgono a noi, i consumatori di alcol e cocaina sono decisamente quelli più frequenti. Ci è sembrato utile poter fare questo tipo di valutazione che consente alle persone che sono interessate di capire un po' meglio cosa gli stia succedendo. LO IEuD, anche prima del Covid, ha sempre operato molto online. Abbiamo visto che c’era molto interesse sul nostro sito, quindi abbiamo pensato di organizzare una ricerca sistematica. Questa ricerca ha lo scopo di consentire un’autovalutazione e una riflessione per spingere le persone a motivarsi e affrontare le proprie problematiche nel caso fossero emerse. Le domande proposte derivano dai sistemi diagnostici attualmente in uso: il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e l’AUDIT per il consumo di alcol. Abbiamo quindi offerto una possibilità fondata scientificamente di darsi un’autovalutazione, seppur in maniera semplificata. Abbiamo fatto questa ricerca in modo totalmente anonimo e questo ha favorito la valutazione: abbiamo avuto oltre 5.000 risposte.

Cosa è emerso?

Ovviamente l’anonimato è anche un limite, ma in ogni casa si tratta di un numero elevato che consente di fare alcune valutazioni importanti. Si definiscono infatti tre livelli di problematicità: un rapporto con l’alcol o con la cocaina che non costituisce problematica. Un livello intermedio quando le problematiche non emergono ancora in maniera eclatante e infine un terzo dove c’è il problema clinico di addiction. Sul primo livello, mentre è socialmente accettato che si possa consumare alcol senza aver nessun tipo di problema, invece il fatto che si assuma cocaina senza incorrere in una situazione problematica è un concetto difficile da accettare.

 Ma quando si definisce il passaggio tra ‘consumo’ ad ‘abuso’?

Il consumatore solitamente se ne accorge dopo rispetto a coloro che gli sono intorno. La problematicità è collegata a una visibilità attraverso alterazioni funzionali: il non riuscire più a svolgere adeguatamente i propri ruoli, di lavoro e di studio; il fatto di avere difficoltà relazionali perché l’attenzione è concentrata sull’assunzione di sostanze. C’è un vero e proprio assorbimento della vita nella dipendenza. Dal questionario si evince che effettivamente un certo numero di persone che utilizzano cocaina non hanno in questo momento degli elementi di deficit”.

Dal questionario emerge che molti tra quelli che hanno risposto vorrebbero curarsi per uscire dalla dipendenza. Voi come Istituto Europeo Dipendenze che percorso di sostegno proponete?

 Il nostro approccio è multidisciplinare e personalizzato. Abbiamo un’equipe formata da psicoterapeuti, psichiatri e abbiamo alle spalle una casa di cura dove si possono fare soggiorni di disintossicazione, abbiamo la possibilità di adottare la tecnica della risonanza magnetica transcranica. Offriamo quindi un’assistenza a tutto campo ma la caratteristica sulla quale puntiamo, oltre alla totale riservatezza, è la personalizzazione con un metodo di lavoro basato su obiettivi specifici coordinati e verificati periodicamente con il paziente.”

La percentuale dei consumatori giornalieri di bevande alcoliche è pari al 20,2% (dati Istat 2019), per la cocaina, dato più difficile da indagare per l’illegalità della sostanza, le stime indicano un consumo nell’ultimo anno da parte dell’1% circa della popolazione adulta (ISTAT-ISS 2019). Il rapporto tra consumatori, non necessariamente patologici, di alcol e di cocaina dovrebbe essere quindi almeno di 20 a 1.  Esiste una sottovalutazione dei rischi che si corrono consumando alcol?

L’alcol fa parte della nostra cultura e ha assunto un significato simbolico positivo della nostra cultura, segno di gioia, di festa, di libertà. Quindi è collegato a tutta una serie di istanze positive e questo ne normalizza l’assunzione. Chiaramente una persona che eccede nel corso di una festa non è giudicata particolarmente male da nessuno. Questa forte normalizzazione può portare a una sottovalutazione della problematica, come si vede ad esempio quando emerge il problema molto spesso gli interventi sono ridotti. Non si tiene assolutamente conto che l’addiction non è solo un’intossicazione ma un legame con la sostanza che diviene un elemento integrato in modo patologico nella vita della persona.

Siamo in una società dove conta molto la performance, quello che riesci a produrre, per cui questo influisce su come viene visto l’uso di sostanze. Nella nostra vita sono entrati tutti quegli stimolanti e integratori alimentari che servono per ‘tenersi su’, per essere brillanti. La cocaina adesso non ha più solo questo tipo di significato, ma per lungo tempo è stata la droga dei professionisti di altissimo livello, che dovevano poi lavorare senza badare a numero di ore lavorative.

C’è poi il significato esistenziale di queste sostanze: viviamo in una società che nega in modo assolutamente totale la morte. La risposta a questa angoscia di non dover affrontare la nostra finitezza può spingere all’uso di queste sostanze. Poi chiaramente il discorso è più complesso.

La pandemia da Covid-19, il distanziamento sociale, le ripetute chiusure che effetto hanno avuto?

Certamente la pandemia ha reso più presente la vulnerabilità. All’inizio della pandemia alcuni dicevano che ne saremmo usciti migliori. In realtà quello che vediamo è che non è così’. In alcuni casi si è approfittato delle chiusure per prendersi cura di sé e disintossicarsi, ma dal punto di vista numerico c’è stato un aumento dell’uso di sostanze. Tra i dati osservati in un’altra ricerca è che molte persone che usavano già sostanze hanno usato il periodo della quarantena per provarne di nuove. Si è sviluppata la sperimentazione perché le consegne online sono estremamente facili. La pandemia ha prodotto la presentificazione del fatto che corriamo il rischio di morire, con due reazioni polarizzate: l’ansia estrema o la negazione della realtà. L’addiction si incastra in questa dinamica.”

 [Fonti: Jessica Castagliuolo, Senza sepoltura e senza lacrime: dalla negazione della morte all’annegazione della vita in DNA (Di Nulla Academia),” Le parole del contagio”, Letteratura e Retorica, vol.II, 2021;  Bruckner P. (2000), L’euphorie perpetuelle. Essai sur le devoir de bonheur, Paris, Grasset;  Elias N. (2019), La solitudine del morente, Bologna, Il Mulino]

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