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Caio Giulio Cesare Mussolini: "Emancipazione della donna iniziata col fascismo, impossibile oggi dibattito serio sul ventennio"

Il pronipote di Benito Mussolini: "La violenza fascista si sviluppa anche come reazione alla violenza politica precedente, in particolare a quella riconducibile al cosiddetto biennio rosso, alla “grande paura” e a una stagione segnata da terrorismo"

18 Dicembre 2025

Caio Giulio Cesare Mussolini: "Emancipazione della donna iniziata col fascismo, impossibile oggi dibattito serio sul ventennio"

Caio Giulio Cesare Mussolini, fonte: imagoeconomica

Nel suo libro lei parla di “altra storia” del fascismo: quali criteri storici utilizza per distinguere la rilettura critica della narrazione revisionista?
Desidero sottolineare che la storia, per quanto alcuni possano non volerlo accettare, è per sua stessa natura un processo di revisione continua. Essa evolve alla luce di nuove fonti, documenti, archivi e testimonianze che ne affinano la ricostruzione, avvicinandosi progressivamente alla realtà dei fatti. In assenza di questo necessario revisionismo, oggi continueremmo a credere che l’eccidio di Katyn fosse opera dei nazisti, mentre l’apertura degli archivi russi nel 1990 ha consentito di accertare ufficialmente che i circa 22.000 cittadini polacchi furono in realtà massacrati dal NKVD sovietico nel 1940.

Ritengo che la storia sia assai più complessa di quanto spesso venga rappresentata e che presenti una molteplicità di sfumature. Proprio per questo, attraverso la consultazione di centinaia di libri e di numerose altre fonti storiche — per lo più già disponibili da tempo ma spesso non considerate — ho raccolto, analizzato e sintetizzato tali informazioni nei miei saggi, con l’obiettivo di raccontare “l’altra storia”. Un percorso che porta inevitabilmente a mettere in discussione molte delle narrazioni consolidate e a vedere crollare non poche delle mistificazioni che la vulgata ha sostenuto per decenni.

Lei afferma che alcuni aspetti del Ventennio siano stati trascurati dai manuali scolastici: quali, secondo lei, e per quali ragioni sarebbero stati esclusi?
Purtroppo, ancora oggi, a oltre ottant’anni dalla fine del fascismo, risulta estremamente difficile — se non quasi impossibile — analizzare quel periodo storico con reale obiettività. La mistificazione ha origine, spesso, proprio nel contesto scolastico, dove il fascismo viene presentato esclusivamente come un fenomeno violento e rozzo, giunto al potere unicamente attraverso la forza.

In realtà, la violenza fascista si sviluppa anche come reazione alla violenza politica precedente, in particolare a quella riconducibile al cosiddetto biennio rosso, alla “grande paura” e a una stagione segnata da terrorismo, attentati e aggressioni contro lo Stato, la Chiesa e la borghesia. Nel 1922 Mussolini viene nominato Capo del Governo in modo perfettamente legale, nel pieno rispetto dello Statuto Albertino e delle leggi allora vigenti. Ciononostante, continua a essere riproposta la tesi secondo cui egli avrebbe conquistato il potere con un atto insurrezionale rappresentato dalla Marcia su Roma. Eppure, i fatti documentano che il 28 ottobre 1922 nessun fascista entrò a Roma, né ciò avvenne nei giorni immediatamente successivi. Solo il 31 ottobre, dopo l’autorizzazione delle autorità, le squadre fasciste entrarono per sfilare nelle strade della Capitale.

Anche sul tema dell’antifascismo persistono ricostruzioni spesso imprecise o ideologicamente orientate, cui dedico un capitolo specifico nel mio primo libro: parlo di Matteotti, Gramsci, i fratelli Rosselli, Amendola.... Viene inoltre sistematicamente omesso il ruolo degli attentati contro Mussolini, che portarono all’adozione delle cosiddette leggi “fascistissime”, così come si tende a ignorare il processo di emancipazione femminile che si sviluppò proprio durante il Ventennio. Un quadro ben più articolato e complesso del semplicistico stereotipo della donna relegata al solo ruolo di “angelo del focolare”.

Il tema dell’emancipazione femminile sotto il fascismo ha suscitato forti reazioni: perché ritiene che questo punto sia centrale nella sua analisi storica?
La vulgata storiografica tende a rappresentare la donna durante il fascismo come inevitabilmente sottomessa e relegata a una posizione di inferiorità. Nel mio primo saggio racconto invece una realtà più articolata, evidenziando come la condizione femminile dell’epoca fosse in larga misura il risultato di tradizioni sociali consolidate e dell’influenza culturale della Chiesa, piuttosto che una mera imposizione del regime. E l'emancipazione della donna inizia proprio grazie al fascismo, attraverso le associazioni e le strutture sociali create in quegli anni — come l’Opera Nazionale per la Maternità e l’Infanzia (ONMI) e l’Opera Nazionale Balilla (ONB) — dove molte donne iniziarono ad accedere a ruoli e funzioni che in precedenza erano loro preclusi, sia sul piano lavorativo, sociale che quello educativo e assistenziale.

Un ulteriore e significativo fattore di emancipazione fu rappresentato dallo sport, pressoché inesistente nella vita femminile durante l’età liberale. Nel periodo fascista, invece, le donne furono incoraggiate alla pratica sportiva e vennero istituite scuole e percorsi specifici di formazione, come nel caso delle cosiddette “orvietine”. Pionieristicamente, l’attività sportiva non rispondeva soltanto a finalità formative e sociali, ma era anche concepita come strumento di miglioramento della salute femminile e, di conseguenza, come mezzo per favorire la natalità, riducendo i rischi sanitari allora molto diffusi.

Crede che oggi in Italia sia possibile un dibattito sereno sul fascismo, o il peso della memoria e dell’identità politica rende inevitabile uno scontro ideologico?
No, purtroppo non è ancora possibile. La vulgata del dopoguerra ha costruito una narrazione che deve essere preservata a ogni costo. Su di essa si sono fondati miti, carriere accademiche, giornalistiche e politiche, nonché posizioni di rendita culturale difficili da mettere in discussione. Ancora oggi la storia per il grande pubblico viene spesso mistificata o ridotta a una narrazione romanzata — si pensi alla fortunata saga di Scurati, che, in quanto opera di finzione, ha un valore storico non dissimile da quello di Sandokan, I tre moschettieri o Zorro — rendendo estremamente complesso tentare di raccontare “l’altra storia”. Si continua, ad esempio, a sostenere che Mussolini fosse antisemita, quando in realtà Margherita Sarfatti - la donna più importante nel panorama culturale italiano e sua amante - era ebrea; emanò la Legge Falco nel 1930 e favorì la creazione della Delasem; e il suo atteggiamento fu filosionista almeno fino al 1936. Oppure lo si dipinge come un leader intrinsecamente guerrafondaio, ignorando il fatto che fu l’unico capo di governo europeo a tentare di bloccare le velleità naziste - Conferenza di Stresa, 1935 - e provò ripetutamente di scongiurare lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Gli esempi sono tantissimi e li ho riportati nei miei saggi.

Io tuttavia non demordo, e continuo a cercare occasioni per un confronto storico pubblico con alcuni di questi scrittori e giornalisti - l'ho provato a fare quest'estate anche con Aldo Cazzullo ad Alassio - ma fino ad oggi non ho ricevuto alcun riscontro. E come se non bastasse, ho anche notevoli difficoltà persino nel far conoscere i miei libri al pubblico - in qualche occasione ci sono state proteste, rimostranze e una volta ho dovuto cancellare una presentazione del libro a Pisa -  segno evidente di quanto sia ancora problematico mettere in discussione una narrazione ormai consolidata. L'altra storia non piace e dà fastidio...

Di Lelio Antonio Deganutti

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