30 Ottobre 2025
In Italia la politica non è un’arena: è un luna park tossico dove le giostre girano al ritmo dell’indignazione social. Ti svegli, scrolli Instagram, e trovi il solito magistrato in abito talare che pontifica in video, dichiarando guerra alla riforma Nordio come se fosse l’anticristo travestito da ministro. Nel frattempo, il giornalista militante — con l’occhio lucido e il filtro drammatico — sputa il suo reel quotidiano: “Attenzione! Sta tornando il Fascismo!”. Tutto in 30 secondi, senza un’ombra di argomento, ma con la certezza che l’algoritmo premierà il pathos.
La realtà? Roba superflua, un fastidio posticcio che si corregge col prossimo post. Ogni fazione s’inventa la propria verità, la lucida, la impacchetta e la serve con hashtag d’autore. È una messa laica celebrata davanti al totem dello smartphone.
Roma, 25 ottobre: l’Associazione Nazionale Magistrati si riunisce e, tra un applauso e un “È giusto dire no”, benedice la resistenza contro la riforma. L’assemblea sembra un rave legale tra toghe e retorica. Un trip istituzionale dove tutti parlano di giustizia ma nessuno ricorda più cosa significhi.
Benvenuti nel Paese dove la realtà è un meme e la verità un effetto speciale. Dove la giunta dell’A.N.M. gioca a fare i Mini Pony della democrazia, spruzzando glitter ideologico su un pubblico che vuole solo essere intrattenuto. In fondo, la nuova liturgia italiana è questa: non cercare la verità, ma twittarla prima degli altri.
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