La storiella di Milano, città globale, città-mondo, città avanti mi ha rotto le palle! La verità è che Milano non è più Milano
Milano è sempre stata moderna, prima lo era con eleganza. La Milano di Sala è elegante come quelle signorine rifatte che vanno in giro con le ciabattine impellicciate
Ancora gli arresti. Ma tutto scivola via in questa Milano che non è più quella di Mani Pulite, inchiesta che penetrò nelle viscere di una metropoli che, nel cambio d’abito, riusciva a includere i nuovi ricchi senza per questo espellere il ceto più popolare. Nella “Milano da bere” di impronta craxiana c’era una idea di socialismo che questi se la sognano. Il Partito socialista di Craxi raddoppiò l’ascensore sociale e, forse proprio per questo, una certa idea di giustizia lo fermò. Il processo ai processi non ha senso ma il redde rationem eccome se ha senso quando l’accusa diventa il verdetto finale.
Gabriele Albertini ha raccontato che dietro la sua idea di cantierare Milano (e lo ha fatto senza dimenticare i veri lavori di urbanistica, quelli che prevedono anche interventi “poveri” e invisibili ma fondamentali) c’era anche una implicita ammissione di paura che la procura intervenisse a prescindere, così aveva instaurato un canale preferenziale con il grande capo Borrelli, conferendogli il ruolo di garante decisionale ultimo. E infatti Albertini oggi può parlare di zero avvisi di garanzia, cadendo inconsapevolmente nella suggestione errata che l’avviso di garanzia sia già una macchia.
Ma usciamo dall’inchiesta e torniamo a ragionare come se non ci fossero gli arresti. Restiamo sull’idea di Milano che ci appare quando atterriamo a Linate, quando arriviamo alla Centrale e quando usciamo da una delle tante fermate della metro: l’idea di una città dove sembra di esserci già stati. Vero, ma non è una cosa di cui vantarsi! Lo dico anche a chi nel centrodestra se la canta e se la suona con la diversità di Milano rispetto alle altre città italiane: Milano città mondo, città globale; ma che fesserie ci stiamo raccontando?!? Milano ha gli stessi grattacieli che trovi a Dubai o a New York o a Londra ma anche a Sofia o a Tirana dove vince chi mette il grano e siccome il grano lo mette la finanza ecco che i santuari di questa grande Chiesa debbono corrispondere all’idea di una riconoscibilità globale e globalizzata: le stesse vetrate, la stessa ambizione di scalare il cielo, di sentirsi più vicini a un dio che hanno de-sacralizzato, gli stessi architetti che non hanno nemmeno più tanto bisogno di creare perché il taglio deve restar dentro la traiettoria del marketing architettonico globale, dev’essere riconoscibile secondo le stesse logiche del following social.
Milano sta dentro questo stesso presepe. E Sala è un adepto perfetto, un chierichetto perfetto per servire questa messa cantata dove la parola “identità” è una bestemmia. Non so se avrà colpe sotto il profilo penale, ma sono innegabili due cose: ha velocizzato un processo di standardizzazione a scapito dello spirito ambrosiano, ha svuotato quell’anima sociale autentica che Milano aveva e che uomini e donne di finanza e di industria contribuirono a dare. Tutto questo, il sindaco caro alla “sinistra non sinistra”, profumata di green e rivestita di un nuovo cemento leggero come i nuovi cosmetici rigenerativi, lo ha fatto rovesciando il paradigma socialista, levando di mezzo i cittadini privi di mezzi per reggere questo palcoscenico.
Ma che schifo è? La Schlein lo difende perchè la Schlein è figlia di questa generazione impazzita che crede di essere “di sinistra” ma che è solo imbevuta di globalismo! E lo dico al centrodestra che è colpevole per non essere stato in grado di porre una idea identitaria per Milano e un avversario degno della sfida. Io se sento parlare Fedele Confalonieri di Milano mi emoziono, se sento parlare un qualsiasi consigliere comunale o anche un presunto big che si fa bello di un pedigree ambrosiano, no, non mi emoziono per niente.
Il Psi di Craxi, dicevamo, era fiero di poter contribuire alla crescita di Milano, nel solco della lunga tradizione socialista e nello spirito di una grande città che ha sempre anticipato i tempi. Dopo Craxi, la Lega di Bossi che era a suo modo socialista, popolare e popolana: a Palazzo Marino, la spilla di Alberto da Giussano entra sul bavero della giacca di Marco Formentini. Dopo la Lega, Silvio Berlusconi: altro campione pop, imbevuto di anima milanese, popolare, prima come grande imprenditore e poi come leader di Forza Italia. Berlusconi significa Albertini e la sua giunta, più che Formigoni. Da Craxi a Berlusconi l’anima popolare non è mai stata tradita, fregata, bruciata o espulsa. Lo ha fatto Giuseppe Sala, con la complicità di quel mondo che con Milano non aveva nulla a che spartire. Mai come in questi ultimi anni il milanese è diventato famoso perchè imbruttito, involgarito, cafonal (per dirla col romano D’Agostino). Mai come negli ultimi anni per le botteghe storiche è stato difficile tenere la saracinesca alzata e reggere la concorrenza dei grandi brand o dei negozi etnici, quelli cinesi in testa. Mai come negli ultimi anni, Milano è diventata una mangiatoia (nel senso di ristorazione, per carità). Mai come negli ultimi anni le periferie sono diventate cittadelle etniche sotto padroni e criminali stranieri: dove c’è "riccanza" ci sono "maranza" e clienti da far pippare e divertire.
Milano è sempre stata moderna, prima lo era con eleganza. La Milano di Sala è elegante come quelle signorine rifatte che vanno in giro con le ciabattine impellicciate. Un’offesa, nella città della moda.
di Gianluigi Paragone