Ponte sullo Stretto “opera militare”, il piano di Meloni per raggiungere obiettivo Nato sul 5% del pil per la difesa, sostegno da Trump e Ue
Il governo italiano ha davanti a sé 3 possibilità: finanziare il Ponte con fondi esclusivamente nazionali, inserirlo tra le opere che attivano la “clausola di salvaguardia” europea per la difesa, oppure chiedere un cofinanziamento Ue
Il Ponte sullo Stretto di Messina, fortemente voluto dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, rientrerebbe nel nuovo obiettivo Nato del 5% del Pil in spese per la difesa. Con l’appoggio del presidente americano Donald Trump e un’apertura dell’Unione Europea, il governo Meloni punta a farlo rientrare tra le “opere militari strategiche”.
Ponte sullo Stretto “opera militare”, il piano di Meloni per raggiungere obiettivo NATO sul 5% del pil per la difesa, sostegno da Trump e Ue
“Il Ponte agevolerebbe il movimento delle forze armate italiane e alleate”: con questa motivazione, un rapporto governativo rilanciato da Politico Europe suggerisce di classificare la grande opera come infrastruttura militare. Una scelta che – se accolta dalla Nato – permetterebbe di inserirla nella quota dell’1,5% del Pil prevista per le infrastrutture strategiche nell’ambito dell’obiettivo comune di portare la spesa per la difesa al 5% entro il 2035.
L’idea, sostenuta con convinzione da Matteo Salvini, nasce da un’esigenza: l’Italia oggi destina solo l’1,49% del Pil alla difesa. Per colmare il divario servirebbero decine di miliardi. Ecco allora che “si potrebbe parlare di finanza creativa”, per usare le parole di un’analisi critica del progetto. Lo stratagemma: rendere il Ponte un’opera utile sia per la mobilità civile che per la logistica militare.
Il nuovo scenario geopolitico e la crescente pressione americana sul rispetto degli impegni Nato hanno prodotto un effetto dirompente. Trump ha imposto l’innalzamento della spesa militare europea al 5% del Pil, minacciando conseguenze per chi non si allinea. “L’aumento è necessario e giusto”, ha affermato Giorgia Meloni. Ed è in questa cornice che si inserisce la proposta italiana, appoggiata dall’Amministrazione Usa: separare il 3,5% per armamenti dal restante 1,5% destinato a opere infrastrutturali funzionali alla sicurezza.
La Commissione europea non chiude la porta all’iniziativa. “Spetta alle autorità italiane valutare se lo scopo principale del ponte sia militare o civile”, ha spiegato un portavoce, ricordando che Bruxelles utilizza la classificazione Cofog (funzioni della spesa pubblica) per giudicare se un investimento possa evitare una procedura per deficit eccessivo. In sostanza: se è “difesa”, il Ponte non peserebbe sui vincoli di bilancio.
Un assist importante potrebbe arrivare dalla riunione del comitato Ten-t a Bruxelles, in cui si valutano opere per rafforzare le reti logistiche europee. In questo contesto, il Ponte potrebbe rientrare nel Military Mobility Action Plan, che prevede fondi per 500 progetti prioritari nel continente, dal rinforzo di ponti all’ampliamento delle gallerie.
Non mancano però le critiche interne. La deputata M5S Daniela Morfino ha attaccato la proposta: “Un progetto per il Ponte ancora non c’è. Così si tenta l’escamotage del bollino di opera strategica militare, che a questo punto può essere appiccicato a qualsiasi opera in modo fantasioso, anche a un marciapiede”. E ha sottolineato le contraddizioni della Lega, “contraria a queste massicce spese di matrice bellica, attaccando l’Ue un giorno sì e l’altro pure”.
Intanto, il governo italiano ha davanti a sé 3 possibilità: finanziare il Ponte con fondi esclusivamente nazionali, inserirlo tra le opere che attivano la “clausola di salvaguardia” europea per la difesa, oppure chiedere un cofinanziamento Ue. In ogni caso, se l’escamotage passasse, i 13 miliardi dell’opera finirebbero nel conteggio Nato per la difesa, “una soluzione creativa, per trovare soldi che sulla carta non ci sono”.