Mediobanca-Generali, lo scudo di Giorgia. Il vero motivo della scalata al potere economico finanziario italiano
Dalla scalata a Mediobanca per arrivare alle Generali: la premier teme il “metodo 2011” e palazzo Chigi punta a "blindare" in mani amiche la compagnia assicurativa simbolo del potere economico italiano per proteggere Palazzo Chigi dallo spettro dello spread
Non è solo una partita di potere. "È" la partita di potere. Non è soltanto la sottile regia con cui Palazzo Chigi sta cercando di mettere mani — o almeno occhi amici — su Mediobanca e, a cascata, su Generali. È qualcosa di più profondo, di più strutturale. Una mossa dettata da un'antica paura che nei palazzi romani risuona ancora forte: lo spettro del 2011. Lo stesso incubo che fece cadere Silvio Berlusconi e che oggi Giorgia Meloni vuole evitare a ogni costo.
Il punto chiave è semplice, almeno per chi conosce i meccanismi della finanza pubblica: Generali è il primo detentore privato di debito pubblico italiano. Vale a dire che chi controlla Generali ha un potere non marginale sul destino economico del Paese. E quindi anche su quello politico. Tradotto: se Palazzo Chigi blinda Generali, blinda indirettamente anche sé stesso.
Negli ultimi mesi, i movimenti sono stati sottili ma continui. Un lavoro di tessitura molto ampio, che ha coinvolto ambienti finanziari vicini alla maggioranza e uomini chiave del sottobosco istituzionale. Obiettivo: mettere in sicurezza il cuore del sistema, controllare i flussi, evitare sorprese.
Perché Giorgia Meloni, al netto della retorica sovranista e degli equilibri europei, sa bene che il rischio vero non viene tanto da Bruxelles, quanto dai mercati. E i mercati, quando vogliono, sanno essere spietati. È già successo anni fa. Allora bastò che Angela Merkel desse luce verde alla Deutsche Bank per scaricare sul mercato 20 miliardi di Btp italiani: lo spread decollò oltre i 500 punti, il governo Berlusconi barcollò e infine crollò, lasciando il posto a Mario Monti.
Un cambio di scenario repentino, eppure perfettamente orchestrato. Oggi, Palazzo Chigi teme il bis. Per questo sta provando a fare scudo. Non si tratta di una guerra di bandierine, ma di strategia difensiva. Di stabilità, direbbero i tecnici. Di sopravvivenza, sussurrano i più cinici.
D’altra parte, anche nei salotti buoni del capitalismo italiano si avverte una certa tensione. Il riassetto in Mediobanca non è casuale. L’asse Del Vecchio-Caltagirone sembra aver trovato nuova linfa, anche grazie a un clima politico favorevole. Il ruolo di Piazzetta Cuccia, da sempre regista silenziosa di equilibri delicati, si fa centrale. E Generali, con il suo portafoglio carico di titoli del Tesoro, torna a essere ciò che è sempre stata: non solo una compagnia assicurativa, ma un pezzo di architettura istituzionale del Paese.
Meloni lo sa. E palazzo Chigi si muove di conseguenza. Non può permettersi il lusso di essere presa in contropiede da una crisi dello spread, o da una campagna di vendita di titoli italiani orchestrata da soggetti ostili. Il ricordo del 2011 non è storia passata: è una lezione scolpita nella memoria.
E allora si torna lì, al centro di tutto: Generali. Perché controllare Generali significa mettere le mani sul termometro finanziario del Paese. Tenerlo al sicuro. E, soprattutto, evitare che qualcuno lo usi per cambiare i destini di palazzo Chigi.