18 Gennaio 2025
Fonte: lapresse.it
La prima presidenza di Donald Trump iniziò il 20 gennaio 2017: «Ero l’unico politico italiano presente all’insediamento a Washington, invitato dal partito repubblicano».
Giulio Tremonti, a tre giorni dal nuovo insediamento di Trump alla Casa Bianca ricorda quel tempo, e il contesto in cui quella elezione avvenne, molto diverso da oggi. «C’era ancora la globalizzazione, un ordine strutturato. Trump era all’opposto di quella visione, cominciava l’America First, mentre l’ideologia dominante era un’altra». E cita, in questo caso in francese: «Globalité, Marché, Monnaie, all’opposto di Liberté, Egalité, Fraternité. La rottura veniva proprio da quella nuova visione che metteva l’America davanti a tutto».
Era «l’opposto del discorso di insediamento di Barack Obama, otto anni prima, in perfetta linea con l’ideologia della globalizzazione secondo cui “non abbiamo il passato ma abbiamo solo il futuro”. Era tutto improntato all’utopia della globalizzazione, della costruzione del mondo nuovo e dell’uomo nuovo. Rispetto a quel modello il presidente eletto afferma un nuovo modello di politica, non asservito alle forze del mercato. Riporta in testa la mano pubblica, e realizza quello che in quella fase è il primo passaggio politico che supera quella utopia».
All’inizio della prima presidenza Trump i primi atti concreti – ricorda il presidente della Commissione Esteri della Camera – «sono una colossale deregulation e nel contempo mette in campo forti incentivi con la detassazione degli investimenti cui accompagna anche l’incentivo al rimpatrio dei capitali (misure che ricordavano quelle realizzate da Tremonti da ministro, ndr)».
E ricorda che proprio in quel periodo, nel 2016, pubblicò un libro dal titolo “Mundus Furiosus” in cui «si annunciava il ritorno degli Stati rispetto all’ideologia del mercato». E tanti elementi furono messi in campo in quella presidenza, soprattutto nella prima parte, compreso il tema della Groenlandia, che per la l’America è importante sia per le materie prime a che per il controllo delle rotte atlantiche. Insomma, Trump era la novità assoluta, anche «se la formazione del suo governo era molto ortodossa, molto establishment». Ma accadde un fatto inatteso, lo scoppio del Covid: «La pandemia rompe lo schema, ma è anche frutto della globalizzazione, tanto che il presidente per primo parla di “virus cinese”, nato dalla delocalizzazione dei laboratori e diffuso dai commerci».
Oggi il quadro, come detto, è molto cambiato: «C’è ancora la circolazione delle merci, c’è la rete internet, ma non c’è più la dogmatica politica della globalizzazione. La ragione è che si è rotto l’ordine mondiale, ci sono le guerre, è tutto diverso. E non c’è più neanche l’Europa. Allora, nel 2017, era coesa, sembrava solida, c’era Angela Merkel, il gas arrivava senza problemi via North Stream, l’auto andava alla grande, la difesa era affidata agli Usa. Emerge la Cina mentre l’Europa viene sommersa». Questo scenario per Tremonti è lo specchio della crisi della democrazia, vista anche come sotto attacco. E ricorda che nel luglio 1989, in occasione del bicentenario della presa della Bastiglia del 1789, scrisse un articolo dal titolo “Una rivoluzione che svuoterà i parlamenti” in cui diceva che «si era spezzata la catena Stato-territorio-ricchezza, e quest’ultima usciva dalla struttura politica secolare basata sui confini, con la crisi delle strutture tradizionali. Un’idea premonitrice visto che il mondo era diviso, c’era ancora il muro di Berlino che sarebbe stato abbattuto solo nel novembre successivo».
Il tema di fondo quindi è che «un tempo, prima del 1989, i problemi erano nazionali, oggi non sono più governabili in una logica di nazione, sono problemi che emergono da fuori, dalle migrazioni, dalla finanza, e anche dal futuro, dalle macchine ruba-lavoro, e i governi nazionali divenuti locali non hanno i mezzi adeguati per affrontare questi problemi. Questo è il nodo della crisi della politica». E lancia una frecciata alle «forze politiche di sinistra, che su questi schemi ci hanno campato. Ricordo nel 1995 in una trasmissione l’allora esponente del Pds Luigi Berlinguer mi disse che noi eravamo fuori dalla storia, mentre loro erano stati legittimati dal mercato finanziario internazionale. La sinistra ha campato per decenni in questa logica globalista, passando per il summit di Firenze della Terza Via, un momento sempre da tenere presente».
E per restare al tema finanza-politica, Tremonti rievoca le parole di Habermas riguardo al 2011 e alla caduta del governo Berlusconi: «Fu un dolce colpo di Stato. Una volta erano fatti con i carri armati, ora con gli spread, e tutto con la complicità della politica». Oggi quindi in Europa «la democrazia e la politica devono allinearsi all’origine e alla natura nuova dei problemi. Dal 1992 è stato fatto il contrario: mentre a Maastricht nel 1992 si disegnava il mercato europeo come un ordine chiuso a Marrakesh nel 1994 costruendo la Wto si faceva l’opposto».
E allora il nuovo Trump che farà? «Ci saranno 100 ordini esecutivi nel primo giorno di governo, vedremo. È prevedibile una nuova una forte deregulation, norme di favore fiscale come per esempio la detassazione delle mance, che in Usa è molto sentita, deregolamentazione dell’energia, e poi diverse regole nel “sociale” nelle aziende». In Europa si teme molto che metta dei forti dazi... «Qui si tratta di vedere se saranno misure imposte, unilaterali, o se saranno usati come strumento negoziale, con Europa e Cina. Io credo nella seconda ipotesi». Comunque la politica dell’amministrazione dipenderà «non solo dall’andamento dell’economia ma anche guardando alle future elezioni di Mid-term: ora i repubblicani hanno la maggioranza in entrambe le camere, ma nel 2027 potrebbe cambiare. Si parla di interventi radicali alla burocrazia ma si dovrà fare attenzione e a non praticare tagli radicali al welfare: la sua vittoria è frutto di una saldatura tra voto popolare e ideologia».
E quindi America First abbandonerà i fori mondiali? «Non credo. Il vero problema è che sono i fori mondiali ad essere in crisi. A partire dal G7: quest’anno è presieduto dal Canada, che ha appena visto il suo governo andare in crisi. Gli altri Paesi sono Germania e Francia, con crisi politiche interne, e anche il Regno Unito vede un esecutivo che ha una salda maggioranza ma pure dei sondaggi pessimi. Se si esclude il Giappone, che è un mondo a parte, l’unico Paese stabile e con una prospettiva temporale sicura è l’Italia, interlocutore privilegiato degli Usa».
Di Carlo Marroni.
Fonte: Il Sole 24 Ore
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