Centri per migranti in Albania, Piantedosi: "Analoghi a quelli sul territorio nazionale, primi ingressi già prossima settimana"
Strutture temporanee pronte ad accogliere fino a 36.000 migranti all'anno, ma restano dubbi sull'efficacia del modello di espulsione rapido proposto dal governo e sulla definizione di Paesi di origine considerati "sicuri"
Centri per migranti in Albania: il momento dell’apertura sembra vicino, come dichiarato dal Ministro degli Interni Matteo Piantedosi. Proprio il titolare del dicastero ha affermato oggi alla festa de Il Foglio a Firenze che saranno "analoghi a quelli sul territorio nazionale", e che "i primi ingressi potrebbero avvenire già dalla prossima settimana. Poi speriamo di no, perché significherebbe non aver bisogno di portare lì delle persone. Tutto dipende da ciò che accade nel Mediterraneo e dalle attività dei trafficanti" ha detto il numero uno del Viminale. "Noi siamo pronti dalla prossima settimana", ha confermato Piantedosi, che ha proseguito: "Non ci sarà nessuna cerimonia di apertura, ci andrò se necessario per ricognizione. Né ci sarà alcun taglio di filo spinato: i centri che stiamo realizzando in Albania sono analoghi a quelli realizzati sul territorio nazionale, sono di contenimento leggero, non sono Cpr. Se il sistema manifesterà tempi rapidi, per sapere se le persone sono ammissibili di protezione internazionale o meno, e quindi da espellere e da riportare indietro, ci sarà sicuramente un fattore di deterrenza" ha concluso il ministro.
Procedure rapide alla base del modello proposto dal governo Meloni
Le strutture, nate in seguito ad un protocollo concordato tra Giorgia Meloni e il premier del governo albanese Edi Rama, sono due: un centro di prima accoglienza a Shengjin e uno di trattenimento ed espulsione a Gjader. L’apertura in origine era prevista per maggio ma il termine è slittato fino ad oggi. Insieme hanno una capienza complessiva di 3.000 persone e l’esecutivo pensa di far transitare dall'Albania fino a 36.000 migranti l'anno. I cancelli si apriranno per richiedenti asilo soccorsi da navi militari italiane e provenienti da Paesi considerati "sicuri" (la lista del Viminale ne elenca 22), ma saranno escluse alcune categorie tra cui minori e donne. Proprio la definizione di "paese sicuro", però, è motivo di scontro tra il governo guidato da Giorgia Meloni e la Corte di giustizia europea: il criterio con cui la Farnesina ad inizio d’anno ha ritoccato la lista di 22 nazioni di provenienza dei migranti ha previsto infatti che "la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone". Illegittimo, ha sentenziato la Corte di giustizia Ue. Stando proprio alla sentenza dell'istituzione europea, praticamente nessuno dei Paesi da cui provengono migranti che attraversano il Mediterraneo avrebbe i requisiti per essere ritenuto sicuro, come ad esempio la Tunisia, l’Egitto e neanche il Bangladesh, da cui quest’anno è arrivato il maggior numero di richiedenti asilo e che, nelle schede della Farnesina, sono indicati proprio come "Paesi sicuri ad eccezione di alcune parti di territorio e per alcune categorie di persone". Le parole di Piantedosi hanno però sottolineato anche oggi che lo scopo dei centri è quello di scoraggiare gli arrivi in Italia; specialmente se (come promesso) le procedure di esame delle domande di asilo non supereranno le quattro settimane, al termine delle quali il migrante verrà rimandato nel Paese di origine. Fondamentale dunque per il modello proposto da Giorgia Meloni, che ha incassato l'apprezzamento di altri governi tra cui quello del premier laburista inglese Keir Starmer, che l'iter per l'esame delle domande venga completato entro le quattro settimane, altrimenti i richiedenti asilo, non potendo essere lasciati liberi in Albania, rischiano di dover essere riportati nel nostro Paese vanificando in questo modo lo sforzo compiuto.