23 Febbraio 2023
Confesso che la rissa o pestaggio, chiamatelo come volete, tra fasci e compagni al liceo fiorentino Michelangiolo, liceo rosso antico, non mi appassiona o, per essere più chiari, non me ne frega niente. Anche l'allarme sul fascismo risorgente, bla bla bla, non mi coinvolge, roba vecchia, sono 45 anni che la sento, da quando, ginnasiale spaurito, entravo al liceo milanese Carducci, anche quello rosso antico, come tutti, e trovavo in aula un armadietto sventrato e annerito: “Sì, sono stati dei compagni” spiegava una prof marxista, raggiante, quasi estatica. Vedevo questi qua darsele di santa ragione e tornavo alla mia adolescenza: anche allora il copione era identico, c'erano i fascistelli, odiosi, violenti, impregnati di sottocultura vitalistico-decadente, e c'erano, molto più numerosi, i compagnucci che la facevano da padroni, prepotenti, organizzati, la scuola come cosa loro. Di solito bastava la protervia e allora era la democrazia ristabilita, se, di rado, gli altri reagivano e magari menavano più forte, era la risorgenza della dittatura. Me ne stavo fuori più infastidito che atterrito, non sopportavo il nostalgismo demente di quelli che esaltavano un regime e un dittatore spariti trent'anni prima e non reggevo le farneticazioni filocinesi o cambogiane, l'ignoranza che però pagava, i più esaltati passavano pur essendo dei somari totali. Non tolleravo, e me ne saliva un sarcasmo che non mi avrebbe più lasciato, i figli dei ricchi, degli avvocati ultraborghesi con magione nel centralissimo Foro Bonaparte che tessevano le lodi del proletariato in armi, “capire le ragioni delle Brigate Rosse” e poi andavo a trovarli, raramente, poiché noblesse oblige, mi apriva una cameriera anziana con tanto di cresta e pettorina, “il signorino Paolo sta riposando”. Ma lui, il signorino filobrigatista, compariva in pantaloni rossi e senza scarpe e, regale, diceva, vai pure, cara, sono amici miei, e ci inoltrava, a me e al mio compare Ugo, alla scoperta della magione, una visita che non finiva mai, ma ecco, magia!, una discoteca vera e propria, mixer, casse, attrezzature da più di un milione ed eravamo all'inizio degli anni Ottanta.
C'era al Carducci, liceo con tradizione resistenziale, antifascista, un erede dell'impero Ambrosoli, quello dei dolciumi, che girava strappando i manifesti che non gli piacevano, quelli dei ciellini e dei “fasci”. Chissà che fine ha fatto. E c'erano le carogne nere che volevano farti inginocchiare e baciare il santino. Per non finire stritolati noi figli di nessuno, ci buttavamo nel grottesco, tra liste d'istituto di bigotti o fasci o compagni ci inventavamo una “lista della spesa”, trovate alla Arbore, alla Frassica pur di sopravvivere.
Allora, come oggi, imperversava il dibattito, più demenziale che surreale, su chi aveva cominciato prima; allora, come oggi, la disputa su quelli che volantinavano per primi ed erano arrivati gli altri a molestarli, però prima di quelli c'erano stati degli altri ancora, di colore opposto, che volantinavano ed erano stati provocati, aggrediti, così fino ai tempi di Abramo e alla fine il solito inevitabile rotolarsi in terra in un fumo di polvere, come nei fumetti, la scarica di calci in bocca e nello stomaco come si vede nei telefilm americani del neoconsumismo violento. E le stesse bugie, patetiche, protervie, da ambo le parti; da tutte le parti. Che noia però la storia o farsa che si ripete circolare e ottusa, gli stessi discorsi, le stesse omissioni: politici e opinionari di sinistra che non vedono il monopolio mafioso dei “kollettivi”, i pupazzi appesi a testa in giù o bruciati, gli slogan dementi per Tito e l'Unione Sovietica, dementi e storicamente analfabeti, le aggressioni agli invitati a parlare alla Sapienza, il fricantò dove tutto trova posto, le foibe, il compagno Cospito, i brigatisti ancora in carcere, quali, santo cielo, quali?, l'allarme fascismo, la camerata Giorgia; e, dall'altra parte, chi ancora fatica ad espungere la vecchia iattanza nera, il virilismo giovanilista, la lezione esemplare, i calci in pancia. Alla fine, oggi come allora, feroci allo specchio, pronti a massacrarsi ma uniti su una cosa: l'antioccidentalismo, l'antiamericanismo, l'esaltazione del patriota Putin chiamato a salvarci dai nostri telefonini, dalle nostre serie tivù del neocolonialismo culturale, dal consumismo sessuale che puoi condannarlo quanto ti pare ma finisce per avvolgere tutti, per condizionare tutti. Come la camerata Alessandra Mussolini, ardita discendente del nonno, oggi trasformata in un bandierone arcobaleno.
Ma un conto sono le cose raccontate, recitate, un conto le sacre rappresentazioni dell'intolleranza politicante e un altro la realtà, più normale e perfino banale o all'occorrenza triviale. In quei miei anni verdi, per fortuna non ancora nel senso della transizione gretina, abitavo a Lambrate vicino ad una sorella del mefistofelico La Russa, che ogni tanto passava a trovarla con un'auto d'epoca; 'Gnazio, il camerata, era un tipo gaudente, simpatico, socievole, che vedendo mio padre gli diceva: salga su signor Del Papa, la porto a fare un giretto. E poi gli spiegava: “Vede Del Papa, a me interessa la fica”. Dagli torto! Ma sideralmente lontano dall'immagine demoniaca del fascista che i media gli avevano cucito addosso, non senza compiacimento dell'interessato. È passato quasi mezzo secolo e, da spettatore quasi anziano, assisto alla stessa risacca miserabile: le uguali liturgie, le identiche cazzate incrociate, le immutabili strumentalizzazioni, le medesime risse da telefilm americano. Una noia, un tedio indicibile, che sa di rancido, di consumato e ti si attacca addosso. Non riesco più ad allarmarmi, penso solo che questo maledetto paese non cambia mai, è condannato a ripetere sempre il suo peggio o meglio a non archiviarlo mai del tutto. Una preside un po' esaltata ha mandato una lettera agli studenti, alle famiglie: attenzione, il fascismo cominciò così, dalle botte per la strada, per dire da avvenimenti trascurabili, all'apparenza innocenti. Sì, professoressa, ma anche il brigatismo, anche l'incendio della prateria, anche lo spontaneismo armato delle schegge impazzite salirono così, impercettibilmente, da cose minime e ce li siamo trascinati per trent'anni, caso unico nella storia occidentale. E siamo ancora qui a fare i conti con i cortei sovversivi per liberare l'anarchico Cospito e i compagni nelle galere.
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