20 Luglio 2022
SCRITTI PANDEMICI
“Qualsiasi partito che prende il merito per aver fatto piovere non deve sorprendersi se i suoi oppositori lo accusano per la siccità.” (Dwight Whitney Morrow). Oggi, 20 luglio 2022, è una giornata molto triste. In Parlamento, un uomo non eletto dichiara di essere disponibile a restare in carica perché l’Italia lo chiede. Tutti conosciamo a quali risultati aberranti abbia portato l’acclamazione. Dopo le adunate oceaniche in Piazza Venezia, Piazzale Loreto…. “Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?».” (Matteo 27.12).
Garantista, non auspico soluzioni tanto cruente. Mi limito a leggere dall’Enciclopedia Treccani: “Il dissenso può ubbidire … a due atteggiamenti: l'uno di partecipazione, l'altro di secessione. Nel primo caso il dissenziente pensa che, grazie a una determinata riforma, la vita, nella sua società, potrebbe notevolmente migliorare; comunque sia, egli non si sente portato a rifiutare la società in cui vive o a condannarla in toto come negativa. Egli si sente sostanzialmente a suo agio nella società, e si attende che essa migliori; non dà alcun ultimatum morale. Il dissenziente secessionista, invece, non può tollerare ambiguità; il suo principio è quello del tutto-o-niente. Se i motivi del suo dissenso non vengono superati, egli pensa che il restare all'interno di quella società finirà col corromperlo. Egli opera dunque una secessione; emigra con i suoi compagni di fede in una nuova terra vergine, o si ritira insieme a loro in un’area isolata dove essi possono fondare una comunità.”
Sono arrivato a questo punto! Davanti alla disgustosa processione di fedeli che accende ceri votivi a Mario Draghi, io prendo in seria considerazione la secessione.
Continuo la mia lettura: Secondo John Stuart Mill “Nelle condizioni della società moderna… la mediocrità è crescente; tanto la classe media che quella lavoratrice nutrono avversione per le personalità genuinamente originali. Il progresso della società dipende invece … dall'esistenza di forti individualità; la funzione dei dissenzienti consiste nel mantenere aperta ‟una pluralità di prospettive" di vita. Se le individualità venissero soffocate, allora si stabilirebbe un ‟dispotismo del comportamento convenzionale" che porrebbe davvero fine al progresso.”
Esistono dissensi conciliabili e inconciliabili e – temo – il mio personale dissenso è inconciliabile. Una maggioranza di miei concittadini considera giustificabile la sospensione dei miei diritti umani e costituzionali. Tra di essi, una maggioranza di Magistrati e di Avvocati teorizza che i miei diritti costituzionali siano validi in tempi normali, ma non in tempi di emergenza pandemica. Si verifica quella che il filosofo Giorgio Agamben ha definito lo stato di emergenza.
Ora, la mia non è una dissidenza aprioristica e apodittica. Il mio dissenso si basa – è vero – su motivazioni filosofiche e giuridiche precise, ma soprattutto sullo studio quotidiano dei report della CDC statunitense e della UK Health Security Agency.
E questo mio studio solitario, mentre i virologi televisivi citano sempre e soltanto i report dell’AIFA (mi verrebbe da ridere, ma è una cosa tragica), mi ha portato a concludere che tutta la narrazione della pandemia è una colossale mistificazione.
Ancora oggi, dopo oltre due anni e mezzo, non conosciamo le cause. I responsabili sono impuniti. Il virus muta. I trivaccinati si contagiano e contagiano. A volte muoiono proprio come i non vaccinati. Centinaia di migliaia di morti, centinaia di migliaia di persone discriminate, scacciate ai margini della società, derise, vilipese.
Così, leggendo le suppliche a Mario Draghi, io mi sento come un ugonotto: non finirà tanto presto, non finirà bene, meglio sarebbe andare via finché mi è consentito.
Poi, in un impeto di desueto (demente?) patriottismo, mi dico: questo è il mio Paese, ho il diritto di viverci e non ho intenzione di dargliela vinta.
Eppure, so perfettamente di essere un patetico idealista. Nel 1988, dopo la laurea in Canada, tornai perché volevo prima superare l’esame in Italia, poi tornare a vivere all’estero. Rimasi e sbagliai per la prima volta. Per tutta la mia vita lavorativa ho pagato le tasse nella convinzione che il mio piccolo contributo fosse utile per ridurre il deficit pubblico. Grazie alle lungimiranti politiche economiche e monetarie dei nostri banchieri (chissà come mai tanto stimati all’estero), oggi vivo in Paese che in questi 34 anni ha quasi raddoppiato il proprio rapporto deficit PIL.
Nel frattempo, in termini di potere d’acquisto il mio reddito è diminuito, mentre quello dei Tedeschi (e di molti altri) è raddoppiato.
Qual è stato il mio errore? Certamente ritornare. Oggi potrei essere benestante in South Carolina e invece tiro a campare a Milano. E di tutto questo, lo dico senza timore di smentita, io non ho responsabilità. Le responsabilità le portano i nostri economisti, i nostri banchieri, i nostri “vili affaristi” che oggi sono venerati come santi laici. Guido Carli, Paolo Baffi, Carlo Azeglio Ciampi, Antonio Fazio, Mario Draghi dovrebbero essere additati come i veri distruttori della ricchezza nazionale. Sono in buona compagnia, insieme a Romano Prodi, Giuliano Amato, Mario Monti e molti altri.
Esiste una forma di infantilismo, un comportamento tipico dell’uomo primitivo davanti a quello progredito che porta il primo a voler essere – ad ogni costo – simile al secondo. Tuttavia, per quanto si sforzi, diventi servile, si renda persino ridicolo, l’uomo primitivo resterà sempre e comunque una caricatura, un falso, un patetico imitatore agli occhi dell’uomo progredito. Mentre noi facevamo sacrifici inimmaginabili per essere come loro, i Tedeschi e gli Angloamericani ci chiamavano PIGS, maiali, insieme a Portoghesi, Greci e Spagnoli.
Ma noi non ce la prendevamo, al contrario ci autoflagellavamo: siamo un popolo del Sud Europa, viviamo al di sopra delle nostre possibilità, non lavoriamo abbastanza e corbellerie del genere riempivano i media nazionali e le nostre teste.
Poi la colossale presa in giro della necessità di privatizzare la nostra industria pubblica per ridurre il deficit: oggi si vede a cosa sia servito distruggere eccellenze, a nulla!
Infine, le delocalizzazioni, che hanno raso al suolo il nostro tessuto produttivo per inseguire la chimera del basso costo di produzione, per sfruttare i nuovi schiavi della società capitalista.
Oggi si ricomincia con una nuova bugia: la transizione ecologica.
Sono vecchio, ne ho abbastanza e ho imparato a non fidarmi. Questa volta alla prima occasione me ne vado. Del resto, è giusto che a combattere siano coloro che credono che serva a qualcosa.
Mi dispiace, ma oggi la penso così.
di Alfredo Tocchi
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