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Klaus Davi: "Parlo di mafia, non ho la scorta e non ho paura della Ndrangheta". ESCLUSIVA

Il massmediologo concede una lunga intervista a Il Giornale d’Italia in cui parla di temi forti come mafia, storia, omosessualità e religione, e del suo rapporto con Mediaset

21 Maggio 2022

Klaus Davi

Classe 1965, Klaus Davi è nato a Biel, in Svizzera, da genitori italosvizzeri. Ha iniziato come giornalista all’Unità nel 1988 e nel 1992 ha aperto un’agenzia di comunicazione a Milano e Roma, che gestisce importanti clienti nazionali e multinazionali. Pur facendo l’imprenditore nel mondo della comunicazione, non ha mai abbandonato il giornalismo che coltiva sia tramite analisi della politica, dal punto di vista della comunicazione e del marketing, che attraverso il suo impegno in prima linea contro l’impresa criminale. Ha scritto numerosi saggi sulla comunicazione, per i più importanti editori.

Lei non è certo avvezzo alla censura, anzi si espone molto soprattutto per la sua Calabria. Ndrangheta e Calabria è ancora un binomio forte?

 «Direi di no. Ormai la Ndrangheta in Calabria effettua un presidio territoriale e di gestione delle gerarchie, un presidio logistico. Ma la sua azione si esercita a Milano, Roma, Torino, Veneto, nel nord Europa, Canada, Australia, Europa dell’Est. Le principali famiglie sono presenti lì e gestiscono il traffico di coca. Siamo ormai alla terza generazione quindi sono affiliati molto ‘integrati’ nei paesi ospitanti. Sul piano della percezione, risponderei invece di sì, perché la Calabria resta il posto dove la mafia esercita il proprio potere in modo più rozzo e visibile, volutamente.»

 

Perché questa attenzione nei suoi confronti da parte dei boss mafiosi calabresi?

«Le organizzazioni mafiose si erano abituate a una narrazione prettamente giudiziaria, tecnica, con cui misurarsi. Le procure facevano le indagini, il racconto era appaltato alla polizia giudiziaria, i giornalisti scandagliavano i documenti. Io ho tentato di percorrere una strada molto diversa, più mainstream e più pop. Ho usato il marketing, le affissioni, i social. Ho sollevato tabù come quelli delle relazioni sessuali, dell’omosessualità. Pensi che perfino gli inquirenti mi dicevano “ma perchè si occupa di questi argomenti? Non sono rilevanti sul piano penale”. Evidentemente, la lezione di Giovanni Falcone contenuta nei suoi libri è circoscritta alle “giornate evento”, purtroppo anche per molti di coloro i quali dicono di seguire i suoi insegnamenti. In pochi leggono i suoi libri, in cui per esempio già nel 1992 parla di “reputazione sessuale” dei boss. Questo mio approccio provocatorio ha dato fastidio, come provano le intercettazioni del clan Alvaro che comanda a Roma, i cui boss si allarmano per una mia campagna di marketing.  Ancora una volta, purtroppo, la mafia ha preceduto lo Stato! Comunque credo più nel potere sovversivo di Andy Wahrol che nell’antimafia di oggi, che è diventata cattocomunista, moralista, autoreferenziale. Falcone ripeteva, e lo scrive, “credo in Dio ma sono un laico”. Ha mai sentito dire da qualcuno queste frasi negli ultimi anni? Noi liberali siamo diventati una minoranza.»

 

Ha paura per Lei, il suo compagno e i suoi familiari? Le è stata fornita una scorta?

«Dopo aver letto le frasi degli Alvaro comparse nella rigorosa inchiesta Propaggine, delle Procure di Roma e Reggio Calabria, mi guardo alle spalle quando mi sposto ed esco da casa. Subito dopo avere letto le loro minacce, ho fatto testamento, anche perché non sono proprio un ragazzino. Niente funerale, sepoltura a San Luca, il comune che mi ha accolto con grande generosità, sulla tomba un Maghen David in memoria dei fasti dell’ebraismo meridionale, che nella Locride lasciò importanti tracce. Ci tengo a precisare però che non appartengo a nessuna religione. Ho antenati ebrei come tantissimi in Italia e anche in Svizzera ma nessuna appartenenza diretta. Il mio ex compagno lavora nell’Arma. Sta attento anche lui! Dice che sono un pazzo totale. Certo che ho paura, so che la morte è dietro l’angolo. Quando decidono, non c’è scorta che tenga. E comunque non l’ho mai voluta. Non potrei mai andare a intervistare Nirta, Piromalli o Messina Denaro con la Digos. La mia reputazione nella Ndrangheta crollerebbe di colpo. Perché, come scrive sempre Falcone, per essere ritenuto un nemico dalla mafia, bisogna poter contare sul loro rispetto.»

 

Domanda da un milione di euro. Cosa si dovrebbe fare per debellare la popolazione della sua San Luca, come di altre zone critiche, da questo cancro umano?

«San Luca si è già in parte affrancata dalla Ndrangheta. Certo, molti capi risiedono lì formalmente e io li ho incontrati quasi tutti. Ma i ragazzi di San Luca subiscono la mafia. Manca una presenza più corposa e culturale dello Stato.»

 

Cambiamo registro. Mass mediologo, giornalista, imprenditore, opinionista. Cosa vuole fare da grande Klaus Davi?

«Vorrei dedicare la mia maturità alle inchieste giornalistiche, come sto facendo. Mi sto occupando molto anche di ebraismo, soprattutto quello perduto dei villaggi dei paesi dell’Est, prima della Shoah, che aveva in comune molto con gli ebrei dell’Italia meridionale del 1400. Poi ci tengo continuare a fare l’analista della politica e del costume.»

 

Da anni, è fortissimo il legame con Mediaset. Con chi è stato il primo approccio in azienda?

«Mi chiamò il dottor Carlo Gorla e mi propose una collaborazione con loro. Dimostrarono coraggio perché sono un personaggio scomodo e inviso a molti poteri sinistri. Credo di aver fatto un buon lavoro, visto che la rubrica I Fuorilegge, che è andata in onda su TgCom24 diretto da Paolo Liguori, che ringrazio, è di nuovo candidata al premio Paolo Borsellino edizione 2022.»

 

Progetti televisivi, editoriali o eventi futuri?

«Mi piacerebbe condurre un programma di politica ma con un taglio più pop.»

 

 

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