07 Aprile 2022
Beppe Fioroni ha attraversato un trentennio di vita politica italiana: dalla Dc, passando per i Popolari e la Margherita, fino al Pd. Cattolico, ex scout, è stato ministro della Pubblica istruzione con Romano Prodi a palazzo Chigi. Oggi è ascoltatissimo consigliere del ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
Fioroni, non è usuale di questi tempi una tre giorni di studio, per giunta dedicata a De Gasperi. Qual è stata la motivazione che vi ha portato a fare questa scelta?
Devo dire che all’inizio pensavamo ad una commemorazione più semplice, non più di una giornata, immaginando comunque di dedicare alla ricorrenza della nascita dello statista trentino un momento di adeguata riflessione. Il programma ci è cresciuto tra le mani, è diventato sempre più corposo e impegnativo. Ha prevalso l’idea che poco avrebbe inciso un convegno fatto di spunti celebrativi, senza un reale approfondimento. Siamo stati onorati, del resto, che Mons. Nunzio Galantino abbia accettato di aprire i lavori: la sua prolusione, che può essere riascoltata sul canale YouTube de “Il Domani d’Italia”, fornisce una chiave di lettura interessante dell’opera “ricostruttiva” degasperiana nel secondo dopoguerra, avendo cura si rintracciare i valori che sono alla base di quella straordinaria esperienza di governo.
Dunque, a suo giudizio, perché De Gasperi può essere considerato attuale?
Tanti aspetti del suo magistero politico sono attuali. A noi è sembrato giusto ricordare come le scelte da lui compiute siano state lungimiranti. Pensiamo all’unità europea e al patto atlantico, due pilastri della sua visione di politica internazionale. E pensiamo anche alla tristezza che accompagnò gli ultimi giorni della sua vita terrena per il fallimento, a causa del veto francese, del programma di difesa comune europea (CED). De Gasperi è stato il più grande statista del Novecento italiano.
Su questo si registra un consenso pressoché unanime. Forse però c’è qualcosa di più specifico e immediato. Nel documento finale, presentato simpaticamente come “Carta d’imbarco”, il ricordo di De Gasperi si colora di un appello alla rimobilitazione di un’area politica, quella del centro…
Per quanto ci riguarda, non siamo affatto interessati - lo dico in virtù del nostro sentirci parte della tradizione del cattolicesimo democratico e popolare - a un centro “senza qualità”, espressione di generiche tendenze mediatrici. De Gasperi ebbe cura di spiegare a più riprese che il centro aveva per lui un carattere ben preciso. Non a caso la definizione più nota è quella che propose nell’immediato dopoguerra: il centro che si muove o cammina verso sinistra. Dunque, la visione degasperiana porta a considerare il valore di spinta e perciò d’innovazione della battaglia di centro, perché suo tramite venga a realizzarsi volta a volta un avanzamento e uno sviluppo dell’equilibrio politico. Il moderatismo, pertanto, non è il vestito che si adatta alla formula del “centro dinamico” che appartiene all’universo teorico e pratico del leader democristiano.
Che significa in concreto, visto che il convegno di Viterbo aveva per titolo “Con le lenti di Alcide De Gasperi”? Quale proposta si delinea attraerso le lenti che, evidentemente, avete scelto di adottare? Dov’è il centro, dal vostro punto di osservazione?
È il problema del paese in questo momento. La pandemia, la guerra…tutto contribuisce a rendere più urgente la difesa di una politica di unità e convergenza, lungo il sentiero tracciato con la costituzione del governo Draghi. Che facciamo, mandiamo tutto a carte quarantotto? Ci avventuriamo verso la scadenza elettorale con la logica del “tana liberi tutti”, come se il paese fosse in grado di reggere un normale scontro elettorale tra una destra nazionalista e conservatrice, da un lato, e una sinistra radicaleggiante, dall’altro? Il Pd, a mio parere, deve uscire da questa morsa: se non lo fa, danneggia se stesso, ma soprattutto consegna l’Italia alla ingovernabilità.
Insomma, Letta dovrebbe guardare a De Gasperi…
Non sarebbe difficile, Enrico ha una formazione che gli permette di raccogliere quanto è emerso dal nostro dibattito. D’altronde Guido Bodrato e Gerardo Bianco, intervenuti con autorevolezza di fronte a una platea rispettosa ed attenta, hanno messo in risalto i punti salienti della lezione degasperiana. Una lezione che “copre” un ventaglio di sensibilità e aspettative, nonché di precisi orientamenti democratici, da cui può venir fuori il consolidamento di una maggioranza adeguata alla complessità e delicatezza della fase politica attuale.
È se ciò non dovesse avvenire? Quanta fiducia lei ripone in “questo” Pd?
Finora il Pd ha esercitato una funzione di garanzia rispetto all’equilibrio rappresentato dal governo Draghi. Anche la rielezione di Mattarella, salutata con soddisfazione dagli italiani, reca il contributo del Pd. Non vedo quale strada abbia il gruppo dirigente del Nazareno se non di mettersi su una traiettoria che risponda a questa visione di un nuovo “centro che cammina verso sinistra”. Molti elettori, anche astensionisti, restano in attesa di un messaggio di chiarezza sulle prospettive da qui alla scadenza elettorale, e soprattutto in vista di ciò che potrà accadere dopo il 2023. Non tutto può fare il Pd, sebbene venga proprio dalle sue decisioni, in particolare dalle aperture politiche che promuoverà, quel carico di speranza attribuibile al “centro di progresso”, come utilmente potremmo chiamarlo.
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