20 Gennaio 2021
Alla fine è andata come, nonostante tutto, ci si aspettava: ieri in Senato è stata la “vittoria di Pirro” di Giuseppe Conte, oppure, il consueto mercato delle vacche figlio di favori, promesse e prebende ai quali, purtroppo, gli italiani sono abituati.
L’appello altisonante di Conte ai “costruttori” è stato ascoltato e, così, un manipolo di disperati esitante sino all’ultimo momento ha deciso di farsi abbindolare dal mellifluo avvocato e dalle sue promesse di un progetto strutturato per il Paese, della necessità di correre, di fare alla svelta per sfruttare l’occasione dei fondi europei utili per riportare l’Italia ai vecchi splendori.
Un bel racconto, uno dei tanti ai quali il premier ci ha abituati, peccato che, come sempre, sia la solita mistificazione delle realtà di un uomo ancorato al Palazzo e sempre più distante dal popolo di cui si vanta di essere avvocato.
La realtà è tutt’altra: la modesta vittoria di Giuseppe Conte è stata la sconfitta degli italiani che, ora, pagheranno la sua vanagloria, con un Governo ancora più debole di prima e di breve durata. Lo dicono i numeri: 156 voti a favore, 140 contrari e 16 astenuti è una vittoria tirata per i capelli che non potrà mai dare stabilità a nessuno, ancor più se si tiene conto che se gli astenuti, tutti di Iv, avessero votato contro, sarebbe stato un pareggio.
Sarà l’ennesima perdita di tempo alla quale Conte e la sua compagine di Governo ci hanno abituato: sempre in ritardo, confusi anche nelle cose più banali, incapaci di affidare posizioni nevralgiche a manager competenti. Conte ha detto che è tempo di correre, lo dimostra ogni giorno al Tg Rai, grazie alle immagini perfettamente confezionate dal suo affezionato addetto stampa, che lo immortalano nelle vesti del grande statista impegnato a risollevare le sorti del Paese.
La verità, purtroppo, è tutt’altra: questo Governo non corre, quando lo ha fatto è stato come i criceti sulla ruota, a vuoto, ed ora non fa più neanche quello, si trascina. Sempre in ritardo su tutto e spendendo male milioni di risorse: penso alla pessima gestione delle forniture di mascherine, protezioni e tamponi, ai ritardi ingiustificabili sulle forniture di vaccini, alle mancate zone rosse, alle terapie intensive ancora insufficienti all’inizio della seconda ondata, alla latitante organizzazione della mobilità con la riapertura delle scuole, all’assurdità del cashback e dei bonus a pioggia. Un elenco, infinito di errori, ai quali deve essere aggiunto lo sperpero incredibile di risorse pubbliche ottenuto, grazie, anche, alla genialità del deus ex machina Domenico Arcuri abile a pagare tutte le forniture più degli altri Paesi, ad inserire faccendieri che si sono arricchiti alle nostre spalle, a spendere milioni per i banchi a rotelle (quale sia poi il connubio tra banchi a ruote e pandemia non mi è ancora dato di capire), tanto per fare qualche citazione.
Che bisogna correre è una dato di fatto, non c’era bisogno che lo dicesse Conte. Il problema è che un conto è dirlo un altro farlo. Organizzare degli Stati Generali a fine della prima pandemia inutili e di cui nessuno si ricorda più non significa lavorare ma perdere tempo, per esempio. Passare l’estate, e mi riferisco, in questo caso, al ministro della salute Roberto Speranza, a scrivere un libro su “quanto siamo stati bravi” e non essere pronti con le terapie intensive in certe Regioni un altro.
Ascoltando gli interventi, ieri, in Senato erano sicuramente più concrete e reali le ragioni di chi ha votato contro, rispetto alla leggenda di Conte unico uomo in grado di traghettarci fuori da questa situazione mediante un lucido progetto di ricostruzione. La verità e che Conte se la canta e se la suona: troppo presuntuoso per subire critiche pensa seriamente di avere fatto bene, o almeno se lo racconta, aggrappato al potere con le unghie e con i denti, come il partito che ce l’ha fatto conoscere, non abbandonerà volontariamente la sua sedia a costo di farla pagare agli italiani.
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