cultura
09 Ottobre 2025
Oslo, 9 ott. (Adnkronos) - Il premio Nobel per la Letteratura per il 2025 è stato assegnato allo scrittore e sceneggiatore ungherese Laszlo Krasznahorkai.Settantuno anni, è considerato oggi uno dei massimi autori ungheresi contemporanei e tra le voci più rilevanti della letteratura europea, definito il profeta dell'apocalisse narrativa. Divenuto noto in ambito internazionale grazie al Man Booker International Prize ricevuto nel 2015, la sua opera si è imposta per un'originalità stilistica e tematica che ha pochi paragoni nel panorama contemporaneo.
Il premio è stato assegnato a Krasznahorkai "per la sua opera potente e visionaria che, nel mezzo di un terrore apocalittico, riafferma il potere dell'arte", ha annunciato oggi l'Accademia svedese. E' "un grande scrittore epico nella tradizione centroeuropea che si estende da Franz Kafka a Thomas Bernhard, caratterizzata da assurdità e da un eccesso grottesco. Ma il suo repertorio è ancora più ampio: volge anche lo sguardo a Oriente, adottando un tono più contemplativo e finemente calibrato", si legge nella spiegazione.
Nelle sue opere, Krasznahorkai crea un mondo privo di eroi classici, in cui i protagonisti si comportano come marionette, i cui fili si intrecciano da qualche parte dietro le quinte. Sono solitari profondi ed emarginati che non smettono mai di fuggire. In Italia Bompiani ha pubblicato 'Satantango', finalista al Premio Gregor Von Rezzori e al Premio Strega Europeo 2017, 'Melancolia della resistenza', 'Il ritorno del Barone Wenckheim', vincitore del National Book Award for Translated Literature nel 2019, 'Guerra e guerra', 'Seiobo è discesa quaggiù' e 'Avanti va il mondo'.
Krasznahorkai ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Tibor Déry, il Premio SWR Bestenliste, il Premio Kossuth, il Premio Sándor Márai, il Brücke Berlin, lo Spycher Prize. Nel 2021 ha anche ricevuto il Premio di Stato Austriaco per la Letteratura Europea.
Nato a Gyula il 5 gennaio 1954, Krasznahorka ha studiato giurisprudenza a Szeged e lingua e letteratura ungherese a Budapest. Agli inizi della carriera ha lavorato per alcuni anni come redattore fino al 1984, quando si è dedicato completamente alla narrativa. La sua scrittura è caratterizzata da frasi lunghissime, prive di punteggiatura tradizionale, costruite in modo ipnotico e ossessivo, che restituiscono una narrazione continuamente in bilico tra razionalità e delirio. Il suo stile è stato paragonato a un "flusso di lava narrativa", secondo la definizione del poeta George Szirtes, suo traduttore inglese. Ma più che alla fluidità, rimanda a una stratificazione progressiva: le sue frasi accumulano materiali, deviazioni, pensieri secondari, come se ogni unità sintattica contenesse in sé un'intera mappa mentale.
La narrativa di Krasznahorkai si muove lungo coordinate che ruotano attorno alla stasi, all'attesa e all'impossibilità di riscatto. 'Satantango' (1985), romanzo d'esordio, ambientato in un villaggio ungherese abbandonato e cadente, introduce molti dei suoi temi fondanti: l'illusione della salvezza, la manipolazione, la circolarità dell'azione. I personaggi aspettano un ritorno, quello di Irimiás e Petrina, figure ambigue che incarnano la speranza di un cambiamento ma si rivelano, se non apertamente malvagie, comunque ingannevoli. Lo scrittore ha adattato 'Satantango' per l'omonimo film diretto nel 1994 dal regista ungherese Béla Tarr. La collaborazione tra lo scrittore e il regista ha portato ad altri quattro adattamenti cinematografici dei romanzi di Krasznahorkai, nonché a quello che Tarr ha dichiarato essere il suo ultimo film, "' Torinói ló' (2011; in inglese 'The Turin Horse').
La struttura narrativa di 'Satantango' è ciclica, costruita come una danza a sei passi avanti e sei indietro, che rinvia a una condizione di immobilità esistenziale. Allo stesso modo, 'Melancolia della resistenza' (1989) ruota attorno all'arrivo di un circo con una balena in un paese di provincia: l'evento, solo apparentemente neutro, scatena un'ondata di isteria collettiva, preludio a un disfacimento più profondo. Entrambi i romanzi mettono in scena comunità marginali, in bilico tra disgregazione sociale e collasso simbolico, in cui la salvezza è attesa ma mai realmente concepita come possibile.
Nei testi successivi - 'Guerra e guerra' (1999), 'Il ritorno del barone Wenckheim' (2016), 'Avanti va il mondo' (2024) - l'impianto si amplia, mantenendo però intatta la tensione tra disincanto radicale e tensione metafisica. In 'Guerra e guerra', il protagonista, archivista in crisi, cerca di salvare un antico manoscritto pubblicandolo su internet, nella convinzione che questo gesto possa sottrarre almeno un frammento alla rovina universale. È un'azione che confina con l'assurdo, eppure coerente con una visione in cui il gesto individuale ha ancora valore, pur sapendo di essere vano.
La critica ha spesso accostato Krasznahorkai a Kafka, Beckett e Gogol, in parte per la presenza di situazioni grottesche, di un’angoscia esistenziale formalizzata in contesti burocratici o degradati, in parte per la sua attenzione al linguaggio come strumento di smascheramento dell’assurdo. L'autore ungherese ha più volte riconosciuto in Kafka il suo riferimento principale: "Quando non leggo Kafka, penso a Kafka", ha dichiarato. Tuttavia, rispetto a Kafka, il mondo di Krasznahorkai è più esplicitamente segnato da una forma di entropia culturale e spirituale. Non si tratta tanto di un sistema opprimente, quanto piuttosto di una condizione di declino generalizzato, in cui le strutture, linguistiche e sociali, appaiono ormai svuotate di senso. È questa "apocalisse lenta" - come l'ha definita la saggista e scrittrice statunitense Susan Sontag - a costituire la cifra distintiva della sua narrativa: una progressiva dissoluzione del reale e della sua intelligibilità. Il suo stile stesso sembra voler restituire questa esperienza: non c'è cesura, non c'è respiro, ma una continua deriva, una retorica del disfacimento che però si mantiene sempre sorvegliata, coerente, paradossalmente musicale.
Malgrado una produzione relativamente contenuta, l'opera di Krasznahorkai si configura come un corpus compatto e coerente. Come ha affermato lui stesso in un'intervista a 'The Paris Review', alcuni suoi romanzi - in particolare 'Satantango', 'Melancolia della resistenza', 'Guerra e guerra' e 'Il ritorno del barone Wenckheim' - costituiscono una sorta di ciclo, un unico libro "purgatoriale", scritto nel tentativo di esaurire un'urgenza interiore.
Anche la sua biografia riflette un desiderio di marginalità, intesa non come isolamento, ma come condizione necessaria per osservare il mondo. Dopo soggiorni in Asia, ha scelto di vivere in un piccolo paese ungherese, in reclusione sulle colline di Szentlászló, fuori dai circuiti letterari e mediali. In precedenza ha soggiornato spesso a Trieste, "città che amo", ha detto. La sua scrittura continua a intercettare un senso di crisi che è tutt'altro che periferico: è l'eco di un'intera civiltà che si interroga, senza più aspettarsi risposte.
László Krasznahorkai rappresenta oggi una delle voci più radicali e intransigenti della letteratura europea. Nei suoi testi si avverte un'urgenza non programmatica ma esistenziale, che prende la forma di una prosa densa, labirintica, capace di sfidare la pazienza del lettore ma anche di offrirgli una profondità rara. Il mondo, nei suoi romanzi, non è da comprendere, ma da attraversare: nella consapevolezza che ogni spiegazione sarà insufficiente, e ogni gesto, per quanto futile, può ancora avere una forma di dignità. Non si tratta di speranza, né di disperazione. È una terza via, più ambigua, più inquieta. Ed è forse in questa ambiguità che risiede la sua necessità. (di Paolo Martini)
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