05 Luglio 2023
Da 41 anni il 5 di luglio è la nostra ricorrenza immortale, il 4 di luglio degli americani, un giorno che ha fatto la storia e l’ha cambiata. È il giorno di Italia Brasile, Mundial spagnolo, 1982, quando faceva caldo davvero, 36 gradi alle cinque del pomeriggio, orario da corrida, e nessuno rompeva i coglioni coi cambiamenti climatici. Un campionato cominciato nel più mesto dei modi, una qualificazione arraffata di furto e di straforo, odio a fiumi dalla stampa, insinuazioni qualcuna anche troppo pesante, ma poi una sorprendente rinascita contro l’Argentina delle carogne e di Maradona. Cinque giorni dopo le facce da emigranti azzurri tornano in campo e stavolta quelle gialle oro del Brasile sono irridenti, sfoggiano sorrisi arroganti, non hanno capito che l'Italia, come il pugile suonato Rocky, ha capito di avere una possibilità e se la giocherà al sangue. Come è andata poi è memoria. L'Italia sa che i sudamericani sono fortissimi, sì, ma fanno acqua in difesa e parte aggressiva: Rossi cicca subito un pallone d'oro ma, tempo cinque minuti, segna, proprio lui, segna finalmente, a compimento di un'azione imbastita da Conti che taglia il campo per Cabrini il quale scodella un cross che non si può tradire. I brasiliani ridono, ma sì, diamogli anche questa piccola soddisfazione a questi straccioni, che adesso li seppelliamo. Si mangiano un paio di occasioni, poi, inesorabile, pareggia Socrates con una rasoiata ravvicinata: s'infila nei dieci centimetri tra palo e un portiere cui basterebbe allungare il piede per respingere, ma Zoff almeno fino a questo momento, è, diciamolo, largamente deludente: la sua figura poi si staglierà come l'eroe paterno del gruppo, ma la verità è che prende certi gol da mettersi le mani nei capelli. Insomma il pareggio “è per i brasiliani”, come dice Nando Martellini. Ma attenzione: di nuovo segna Rossi, un fulmine in rapina, perché Junior pare un ubriaco in una difesa di drogati: mai passare la palla in orizzontale nella propria tre quarti! Paolo capisce tutto e s'infila a scaricare una legnata che lascia di marmo il mediocre Valdir Peres. Questa metamorfosi da brocco a campione ha molto dell’eroe omerico che torna al momento giusto e salva la patria: Rossi rinasce e trascina una squadra di zombie che diventano invincibili.
Da qui, si entra davvero nel mito. Dopo la pressione sterile fino alla pausa, con tanto di lamentazioni di Zico cui Gentile strappa la maglietta (“Se ne faccia dare un'altra”, gli risponde l'arbitro Klein, che ha appena perso un figlio al fronte ma resta impeccabile nella partita della vita), sarà un secondo tempo da tragedia, con tutte le parti della tragedia greca rispettate fino alla catarsi. Il Brasile spinge, a folate, in verità combina poco e finalmente Zoff si esalta: uscite a valanga, parate, respinte, con la difesa che sembra trarre forza dalla tremenda pressione cui è sottoposta; allo stesso tempo, le manovre di rilancio sono ariose e belle, tanto per lasciare sul chi vive i presuntuosi campioni in maglia gialla. Arroganti, superbi, ma in ogni senso: Falcao con una finta sola fa sbarellare mezza difesa italiana, poi scarica un sinistro che Zoff vede, sì, ma non può arginare perché c'è una deviazione impercettibile, un soffio sulla coscia di Bergomi, che lo mette fuori tempo. I brasiliani saltano tutti come posseduti e si capisce la paura, l'isteria di un incubo che non si aspettavano. E che non si aspettano: pochi minuti e, su un calcio d'angolo di Conti, esce una mischia che manda il pallone davanti a Valdir Peres: Graziani provvidenzialmente liscia, Rossi, ormai trasfigurato, sceglie l'istante supremo e non perdona. A questo punto manca meno di un quarto d'ora e si comincia a capire come finirà. Anzi, viene scippata l'Italia, di un altro gol: chiamano ad Antognoni un fuorigioco che non esiste e quel gol validissimo ma invalidato rischia di combinare una tragedia: proprio all'ultimo minuto, su uno schema da punizione, per un millimetro l'Italia non esce: Zoff all'ultimo momento blocca un pallonaccio sulla riga inzuccato da Oscar. La inchioda sulla linea e tutto si ghiaccia, i ventidue in campo, le panchine, i milioni di spettatori sparsi nel mondo. Fortuna che l'arbitro è lì e ha visto bene: non gli resta che fischiare tre volte. Esce Zico stravolto, Gentile lo ha ridotto un ecce homo come e peggio di Maradona. Lui e i suoi compagni non hanno più quel sorriso odioso: piangono, in Brasile molti si suicidano. Scendendo negli spogliatoi, Zoff stampa un bacio sulla faccia di Bearzot e dentro c'è tutto e non servono parole. La catarsi è compiuta, il mondiale praticamente finisce qui.
Sarà l’ultima manifestazione di gioia davvero popolare, l’ingenuità italiana che si scarica nelle fontane e nelle piazze, rigurgiti paesani nel bene e nel male, sarà la riscossa degli outsider e l’invadenza ruffiana di Pertini, “ah, non ci prendono più!” sotto gli occhi esterrefatti del re di Spagna, gran puttaniere, e della regina, grandissima cornuta. Altri trionfi verranno, subito inghiottiti dall’oblio: Italia Brasile resta come resta Paolo Rossi con la faccia scavata, un presagio di morte prematura in quella partita dove tutti morivamo per rinascere. E poi, alle sette di sera, giù in strada, i muscoli doloranti per la tensione, come se quella maledetta partita l’avessimo giocata anche noi, l’avessimo vinta anche noi. Ci furono infarti, morirono in diversi quel pomeriggio, non fu una partita, fu qualcosa di inspiegabile, dalla regia perfetta, qualcosa di divino che poi si fa sacro. In Brasile poi suicidi di massa, un trauma mai più superato. Sarà anche una palingenesi, simbolica, allegorica a chiusura di un lungo periodo di cupezza terroristica. Sì, si veniva dal primo scandalo del calcioscommesse, ma la stampa, che sapeva tutto e aveva coperto, tentò allora la sua riverginazione sulle spalle della Nazionale e soprattutto di Bearzot. Che alla fine scolpì una frase sola, con cui chiuse la bocca ai malevoli e ai meschini: “Abbiamo vinto in modo pulito e nessuno potrà dire il contrario”. Fu una delle pagine più mortificanti per l’informazione e il fatto che molti nel frattempo siano morti non la cancella e non nobilita i morti che all’epoca scrivevano cose infami. Fu anche l’ultima impresa quasi irreale, fantastica come solo lo sport la può inventare; consacrata dai Rolling Stones che suonano in Italia e che sono emozionati, quasi intimiditi di trovarsi davanti Gentile e gli altri che li presentano. Jagger aveva azzeccato, da stregone, il risultato della finale con i crucchi, “L’Italia vincerà 3-1”.
La gioia ritrovata in quella settimana di luglio 1982, una felicità chiassosa, naif, sbracata e irritante e commovente alla Pasquale Ametrano, vitalissima, disperata, una felicità italiana. Poi basta, poi solo la messinscena della felicità, un paese che tira ancora un po’ poi entra in Europa e comincia a inabissarsi, a perdere la testa. Quaranta anni dopo, le stragi di strada, dei ragazzini esaltati hanno preso il posto di quelle ideologiche, politiche, un sangue che inzuppa il prato basso e nessuno ci fa caso, cerimonie e stronzate, i genitori della diciassettenne Michelle, fatta fuori a coltellate da un balordo coetaneo, fanno 37 interviste in 4 giorni e poi chiedono silenzio, rispetto e sostegno cioè soldi dallo stato, con quali presupposti non si capisce. L’avevano trovata da pochi minuti, la fanciulla scaricata in un cassonetto da un carrello della spesa, come un rifiuto organico, che già partiva l’organizzazione della fiaccolata. Dice uno degli eroi di allora, Claudio Gentile: “Fuori da due Mondiali di fila, dalle Olimpiadi, dai campionati giovanili, il calcio italiano è malato”. No caro Claudio, il calcio italiano è terminale, come il paese che lo esprime.
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