Mamdani sindaco di New York, chi è sua moglie Rama Duwaji: la più giovane First Lady della Grande Mela, tra arte, politica e diritti umani
Nata il 30 giugno 1997 a Houston, Texas, da genitori musulmani siriani originari di Damasco, Rama Duwaji è cresciuta attraversando confini. A nove anni, la famiglia si trasferisce a Dubai. Studia tra gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, prima di tornare negli Stati Uniti per completare la sua formazione alla Virginia Commonwealth University School of the Arts, dove si laurea con lode in Belle Arti nel 2019. New York arriva solo 4 anni fa
Mentre il mondo guardava Zohran Mamdani diventare il primo sindaco musulmano di New York, lei saliva sul palco del Brooklyn Paramount immersa in un outfit che era già un manifesto politico. Rama Duwaji, 28 anni, artista siro-americana, è la donna che ha scelto di restare nell'ombra durante la campagna elettorale più seguita dell'anno.
Il debutto che non ti aspetti
Martedì 4 novembre 2025, Brooklyn Paramount Theater. La sala vibra di un entusiasmo che New York non vedeva dall'elezione di Obama. Quando Zohran Mamdani interrompe il suo discorso della vittoria per ringraziare "la mia incredibile moglie, Rama, hayati - vita mia -”, la folla esplode. Finalmente, lei è in prima linea.
Ma l'apparizione di Rama Duwaji non è casuale come potrebbe sembrare. Il suo outfit è un esercizio di equilibrismo stilistico perfetto: top senza maniche in denim nero con ricami laser-incisi dello stilista palestinese-giordano Zeid Hijazi, gonna midi in velluto e pizzo della newyorkese Ulla Johnson, orecchini d'argento di Eddie Borgo, anche lui di New York. Ogni pezzo racconta una parte di lei: le radici medio-orientali, l'appartenenza alla città, la modernità sostenibile (il denim lavorato al laser è un'alternativa eco-friendly ai trattamenti tradizionali). È discreto ma tutt'altro che neutro. È politico senza urlare. È esattamente ciò che Rama Duwaji rappresenta.
L'artista che ha detto no ai riflettori
Fino a quella sera, Rama Duwaji era rimasta volutamente sullo sfondo della campagna elettorale più divisiva della storia recente di New York. Nessuna intervista, nessun comizio al fianco del marito, nessun commento pubblico. Solo un selfie "I voted" su Instagram. Una scelta che oggi la rende un oggetto di curiosità quasi ossessiva da parte dei media americani: mentre la campagna di Mamdani rincorreva l'ultimo voto in una città che si giocava il futuro, lei continuava a modellare ceramica, a illustrare, a insegnare nei community studios. Al posto dei comizi, frequentava atelier, gallerie e qualche front row durante la Fashion Week.
"Rama non è solo mia moglie, è un'artista incredibile che merita di essere conosciuta per quello che è", aveva scritto Mamdani su Instagram a maggio, quasi a proteggerla dall'inevitabile riduzione a "moglie di". E lei ha tenuto fede a questa identità: ha rifiutato il ruolo tradizionale di "first lady", ha declinato la maggior parte delle interviste, ha continuato a parlare e scrivere di arte e diritti umani. Eppure, seppur da dietro le quinte, il suo contributo è stato tutt'altro che marginale. È stata lei a curare l'immagine grafica della campagna: i colori (giallo, arancione, rosa – giovani, frizzanti, lontani anni luce dal blu istituzionale democratico), il font delle scritte, il logo "Zohran for New York City" che ha tappezzato la città per mesi. Ha rafforzato la presenza virale di Mamdani sui social media, trasformando un politico socialista in un fenomeno generazionale. Ha fatto tutto questo rimanendo invisibile.
Una vita tra continenti e culture
Nata il 30 giugno 1997 a Houston, Texas, da genitori musulmani siriani originari di Damasco, Rama Duwaji è cresciuta attraversando confini. A nove anni, la famiglia si trasferisce a Dubai. Studia tra gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, prima di tornare negli Stati Uniti per completare la sua formazione alla Virginia Commonwealth University School of the Arts, dove si laurea con lode in Belle Arti nel 2019. New York arriva solo quattro anni fa. È qui che consegue, nel 2024, un master in "Illustration as Visual Essay" alla prestigiosa School of Visual Arts. Ed è qui, nel 2021, che incontra Zohran Mamdani suHinge, l'app di incontri. Primo appuntamento da Qahwah House, caffetteria yemenita a Brooklyn. Lui è già membro dell'Assemblea dello Stato di New York. Lei è un'artista emergente le cui illustrazioni iniziano ad apparire sul New York Times, sul Washington Post, sulla BBC. Si frequentano per tre anni prima di fidanzarsi ufficialmente nell'ottobre 2024, con la tradizionale cerimonia della nikah (il contratto matrimoniale islamico, una cerimonia religiosa che nella cultura musulmana precede - o accompagna - il matrimonio civile). Si sposano civilmente nel febbraio 2025 al Manhattan Marriage Bureau, poi celebrano il matrimonio in Uganda – Paese natale di Mamdani – a luglio. Scelgono di vivere ad Astoria, nel Queens, non a Manhattan. È una scelta politica, ancora una volta: vivere dove vivono gli elettori di Mamdani, non dove vive l'establishment.
L'arte come atto politico
Sul suo sito web si legge: "Sebbene lavori principalmente nel digitale, Rama si concede spesso una pausa dalla tecnologia per realizzare ceramiche modellate a mano". È una dichiarazione programmatica: in un mondo iperconnesso, Rama Duwaji sceglie la lentezza dell'argilla, il silenzio dell'atelier, la pazienza della cottura. Ma le sue illustrazioni in bianco e nero raccontano tutt'altro che una fuga dalla realtà. Raccontano Gaza sotto le bombe, la guerra civile dimenticata in Sudan, le crisi umanitarie in Libano. Raccontano scene intime della vita mediorientale, ritratti di donne velate, mani che impastano pane, madri che cullano bambini tra le macerie. Il suo lavoro è apparso su Vogue, in un servizio sui lavoratori dell'industria tessile di New York, e su New York Magazine, in un reportage sugli oggetti che i palestinesi hanno portato con sé fuggendo da Gaza. Il suo impegno per la causa palestinese è evidente, costante, non negoziabile. Durante l'estate e l'autunno 2025, mentre Mamdaniconquistava voti quartiere per quartiere, lei partecipava a eventi d'arte e moda, conduceva laboratori di ceramica nei community studios della città, postava su Instagram (dove conta ora 344.000 follower, in netta ascesa dopo la vittoria del marito) illustrazioni dedicate alla Global Sumud Flotilla, collage di foto con le amiche, raccolte di dettagli che "la ispirano a continuare a fare arte".
Questo attivismo l'ha esposta a critiche feroci durante la campagna. Le stesse accuse di antisemitismo rivolte a Mamdani sono piovute su di lei. Ma Rama non ha ceduto, non si è nascosta, non ha addolcito le sue posizioni. Ha semplicemente continuato a fare ciò che fa: arte con un punto di vista chiaro.
La coppia che riscrive le regole
Guardando la storia delle First Ladies di New York, Rama Duwaji è un'anomalia. La città ha avuto per lo più sindaci single: Ed Koch negli anni '80 non aveva alcuna partner, Michael Bloomberg si descriveva come "miliardario single di Manhattan", Eric Adams non ha mai nascosto di volersi godere il suo essere single ("La mia vita notturna è un'industria multi-miliardaria", aveva scherzato con la CNN). Rudy Giuliani aveva una vita personale così caotica da annunciare il divorzio dalla moglie durante una conferenza stampa senza averla avvisata. Uno dei pochi precedenti è quello di Bill de Blasio e sua moglie Chirlane McCray, coppia progressista e visibile. A loro Zohran e Ramapotrebbero guardare per ispirazione, ma la sensazione è che stiano scrivendo un capitolo completamente nuovo. Perché questa coppia rappresenta qualcosa di inedito per New York e perl'America: sono giovani (lui 34 anni, lei 28), musulmani, socialisti dichiarati, multiculturali per biografia non per scelta elettorale. Vivono nel Queens, non a Manhattan. Si sono conosciuti su un'app, non in ambienti politici. Parlano sui social come parlano i millennial e la Gen Z, senza filtri istituzionali. Ballano sui palchi elettorali sulle note di "Dhoom Machale", hit di Bollywood scelta da Mamdani in omaggio alla madre regista Mira Nair. E soprattutto: lei rifiuta il ruolo di appendice. Quando tutti si aspettavano che seguisse il copione della "moglie devota che sostiene il marito", Rama ha continuato a insegnare ceramica, a disegnare, a frequentare gallerie. Ha partecipato alla campagna alle sue condizioni: creando l'immagine visiva, non facendo campagna elettorale. Contribuendo con le sue competenze, non con la sua presenza.
Il nuovo establishment che non vuole essere establishment
Nel suo discorso della vittoria, Mamdani ha detto: "Non c'è nessun altro che vorrei al mio fianco in questo momento o in nessun altro momento". È una dichiarazione d'amore, certo. Ma è anche il riconoscimento di una partnership paritaria in cui lei non è la "First Lady" nel senso tradizionale del termine, ma una voce autonoma, un'artista con la propria carriera, una donna che ha scelto di sposare un politico senza diventare essa stessa una figura politica. Questa è la sfida che Rama Duwaji incarna: essere insieme rivoluzione e istituzione, popolo e Gracie Mansion (la residenza ufficiale del sindaco di New York). Essere la First Lady più giovane della storia della città senza perdere l'autenticità che l'ha resa interessante. Entrare nell'establishment mantenendo lo sguardo critico dell'outsider. Sul suo profilo Instagram, tra le illustrazioni di Gaza e i laboratori di ceramica, si legge una frase che sembra un manifesto: "Couldn't possibly be prouder" – “non potrei essere più orgogliosa”. Era riferito alla vittoria del marito alle primarie democratiche. Ma potrebbe essere letta anche come una dichiarazione più ampia: orgogliosa di chi è, di cosa fa, di come ha scelto di stare in questa storia.
Lo stile come linguaggio
Torniamo al look del Brooklyn Paramount, perché è lì che si condensa tutto il discorso. Rama Duwajiavrebbe potuto scegliere un grande stilista americano, un abito couture, una mise che urlasse "potere". Invece ha scelto un designer palestinese-giordano ancora relativamente emergente (Zeid Hijazi ha vinto il premio FTA Debut Talent nel 2020 e le sue opere sono esposte al V&A Museum di Londra), noto per "fondere la moda contemporanea con la narrazione culturale, esplorando temi di identità, queerness e resistenza attraverso silhouette audaci e dettagli intricati".
Ha abbinato questo pezzo fortemente identitario con designer newyorkesi (Ulla Johnson, Eddie Borgo), creando un dialogo tra le sue radici siriane, il suo presente americano, e il futuro che lei e Mamdani vogliono costruire per New York: una città che non chiede agli immigrati di dimenticare da dove vengono, ma che costruisce la propria identità sull'intreccio di tutte queste storie. Il tutto in nero, colore che nella moda può essere letto in mille modi: eleganza, sobrietà, ma anche resistenza, determinazione, rifiuto di piegarsi alle aspettative. Rama Duwaji ha scelto il nero quando ci si aspettava colore e celebrazione. Ha scelto la discrezione quando tutti volevano vederla. Ha scelto designer che raccontano storie di minoranze quando la politica americana chiede spesso agli immigrati di essere "grati" e silenziosi.
Cosa ci aspetta
Tra meno di due mesi, il primo gennaio 2026, Zohran Mamdani entrerà in carica. Dovrà governare una città con un bilancio di oltre 110 miliardi di dollari e più di 300.000 dipendenti comunali. Dovrà mantenere promesse onerose: trasporti pubblici gratuiti, affitti calmierati, aumento delle tasse ai più ricchi. Dovrà farlo mentre Donald Trump, dalla Casa Bianca, nel suo scandaloso e assurdo senso della democrazia e della partecipazione attiva e sinergica tra pubbliche amministrazioni, ha già minacciato di tagliare i fondi federali a New York e ha definito "stupidi" gli elettori ebrei che hanno votato per lui. Rama Duwaji, dal canto suo, dovrà decidere che tipo di First Lady vuole essere. I precedenti non mancano: da Michelle Obama a Jill Biden, da Chirlane McCray a Chiara de Blasio, ci sono modelli di donne che hanno usato la visibilità del ruolo per portare avanti battaglie proprie. Ma c'è anche la possibilità di rifiutare completamente il copione, di continuare a essere semplicemente Rama Duwaji, artista, che capita di essere sposata con il sindaco di New York. I segnali vanno tutti in questa direzione. Nessuna intervista dopo la vittoria. Nessun annuncio di "cause" che abbraccerà come First Lady. Solo un post su Instagram con una foto del party della vittoria e la didascalia: "Grateful". “Grata”. Nient'altro. Sul suo sito web, la biografia professionale non menziona nemmeno Mamdani. Elenca i suoi lavori per Vogue, BBC, Washington Post, Vice, The New Yorker. Parla delle sue mostre, dei suoi laboratori, delle sue ceramiche. È come se dicesse: questa sono io, con o senza Gracie Mansion. È un approccio radicale, se ci pensate. In un'epoca in cui ogni figura pubblica monetizza la propria visibilità, costruisce un personal brand, trasforma ogni aspetto della vita in contenuto, Rama Duwaji sceglie il silenzio, la sottrazione, il lavoro che non chiede applausi. Forse è questo il suo vero atto rivoluzionario: non essere la First Lady che New York si aspetta, ma quella di cui New York – giovane, multiculturale, stanca di politici che sembrano usciti da uno stampo – ha bisogno. Una che dimostra che si può entrare nelle stanze del potere senza perdere l'anima, che si può sposare un uomo potente senza diventare la sua ombra, che si può essere First Lady continuando a modellare argilla con le mani sporche di terra. Nel suo discorso della vittoria, Mamdani ha citato Nehru (primo Premier dell'India indipendente): "Giunge un raro momento nella storia, in cui passiamo dal vecchio al nuovo, quando un'epoca finisce e quando l'anima di una nazione, a lungo repressa, trova espressione". Rama Duwaji, con il suo denim palestinese e la sua gonna newyorkese, con le sue ceramiche e le sue illustrazioni in bianco e nero, con il suo silenzio eloquente e la sua presenza discreta, è l'incarnazione perfetta di questo passaggio. È la dimostrazione che il nuovo non deve per forza urlare per farsi sentire. A volte, basta salire su un palco al momento giusto, con l'outfit giusto, e lasciare che sia lo stile – nel senso più ampio del termine – a parlare. La Grande Mela ha la sua nuova First Lady. E, per la prima volta, non è chiaro chi stia seguendo chi.
Di Eugenio Cardi