Mosca abbandona l'accordo russo-americano sul plutonio: nuova crepa nell'intesa di disarmo bilaterale con gli Stati Uniti
Russia, la corsa a uranio e plutonio in parallelo con gli Stati Uniti segna l'ultima crisi dell'architettura internazionale di sicurezza nata alla fine della Guerra fredda
Le ultime mosse statunitensi sul nucleare civile non sono passate inosservate in Russia. Mentre gli Stati Uniti riaprono il capitolo del plutonio "riciclabile" e rilanciano la filiera dell'uranio domestico, Mosca si è mossa in parallelo. Due traiettorie che si inseguono, si specchiano e, forse, si scontrano su uno dei terreni più sensibili del XXI secolo: uranio e plutonio contesi tra energia civile e potenza militare.
Il 22 ottobre 2025 il Consiglio della Federazione russa ha approvato, e il Presidente Putin ha firmato, una legge che ha formalmente posto fine alla partecipazione di Mosca nell'Accordo USA-Russia (PMDA) per la gestione e lo smaltimento di 34 tonnellate di plutonio militare dagli arsenali di ciascun Paese. Mosca sconfessa l'accordo - firmato il 29 agosto 2000 a Mosca e il 1° settembre 2000 a Washington - e i protocolli ulteriori, firmati il 15 settembre 2006 e il 13 aprile 2010. In realtà, la Russia aveva già sospeso l'attuazione del patto nell'ottobre 2016, sostenendo che gli Stati Uniti avessero violato i termini originari per lo smaltimento del plutonio. L'abbandono di questo trattato segna l'ultimo pesante passo indietro nella cooperazione tra Mosca e Washington sul disarmo. Questa è la quarta puntata di una lunga saga. Ora è Mosca a voltare pagina. Nelle tre puntate precedenti, a ritirarsi furono sempre gli USA. Il 13 giugno 2002 gli Stati Uniti si ritirarono dal Trattato sui missili anti-balistici (ABM), il 2 agosto 2019 dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF) e il 22 novembre 2020 dal Trattato Open Skies (Cieli Aperti).
La Russia non ha mai smesso di credere nel potenziale del plutonio. Oggi è la chiave della nuova strategia energetica del Cremlino. Al centro di questa visione c'è il MOX, un combustibile "ibrido" ottenuto mescolando ossidi di uranio e di plutonio. Il MOX è pensato per alimentare la prossima generazione di reattori nucleari. A Seversk, nel giugno 2021, prendeva forma il progetto Brest-300, un impianto "autofertilizzante" capace di rigenerare il proprio combustibile. Qui gli ingegneri di Rosatom hanno sviluppato un progetto innovativo, a base di nitruro di uranio e plutonio, che costituisce la prima unità energetica di nuova generazione con una concentrazione fissile del 13,2%. La miscela è concepita per chiudere il ciclo del combustibile nucleare e ridurre al minimo gli scarti. Nel settembre 2022, il reattore veloce BN-800 della centrale di Beloyarsk, per la prima volta, è stato interamente convertito all'impiego di MOX. Nel dicembre 2024, l'Agenzia statale russa per l'energia nucleare lavorava alla progettazione di due diversi nuclei a uranio-plutonio, per il reattore BN-1200.
Dopo le misure di Joe Biden, che nel 2024 hanno limitato le importazioni di uranio russo, Mosca ha consolidato recentemente la cooperazione industriale sull'uranio con Kazakistan e Iran. Il 14 giugno di quest'anno, Astana ha compiuto una scelta strategica destinata a ridefinire il panorama energetico dell'Asia centrale, affidando a Rosatom e alla China National Nuclear Corporation la guida di due consorzi distinti per la costruzione delle sue prime centrali nucleari nazionali. Il governo kazako e l'Agenzia nazionale per l'energia atomica vogliono attirare nuovi canali di finanziamento statale russi, destinati a sostenere il progetto nucleare. Il 24 settembre, Russia e Iran hanno firmato un memorandum d'intesa per costruire piccole centrali nucleari nella Repubblica islamica. Il patto, definito «strategico» da Rosatom, è stato siglato da Alexey Likhachev, direttore generale di Rosatom, e da Mohammad Eslami, a capo dell'Organizzazione per l'energia atomica dell'Iran. Ne è seguita un'intesa esecutiva per la costruzione di 4 unità nucleari avanzate di terza generazione nel sud dell'Iran, per un valore di 25 miliardi di dollari.
Di Roberto Valtolina