Diario di Norimberga, fondatore Gestapo Göring nel 1947: “È compito dei leader del paese orientare popolo verso guerra e inculcargli paura"
Le parole di Hermann Göring sono attuali anche oggi: la paura come arma per zittire il dissenso e spingere le masse. Dal Covid ai lockdown, dal green pass ai vaccini obbligatori, fino alla narrazione unilaterale sulla guerra in Ucraina, le tensioni di Israele con l’Iran e il silenzio colpevole sul genocidio di Gaza
Nel suo celebre Diario di Norimberga del 1947, lo psicologo americano Gustave Gilbert racconta una conversazione agghiacciante con Hermann Göring, fondatore della Gestapo e gerarca nazista. Dietro le sbarre, Göring svela con fredda lucidità il meccanismo con cui ogni regime – democratico o dittatoriale – può trascinare il popolo alla guerra: seminando paura, soffocando il dissenso, trasformando la paura in odio. Non un delirio ideologico, ma una strategia lucida e universale. Una lezione che vale anche oggi, viste le guerre in corso e la pandemia Covid del 2020.
Diario di Norimberga, fondatore Gestapo Göring nel 1947: “È compito dei leader del paese orientare popolo verso guerra e inculcargli paura”
“È naturale che la gente non voglia la guerra; non la vogliono gli inglesi né gli americani, e nemmeno i tedeschi”. Parole attribuite a Hermann Göring, fondatore della Gestapo, che risuonano oggi con inquietante attualità. In un’intervista resa a Gilbert per il Diario di Norimberga, Göring spiegava con lucida freddezza come sia possibile portare un intero popolo alla guerra, indipendentemente dalla forma di governo. La chiave è la paura.
“È compito dei leader del paese orientarli, indirizzarli verso la guerra” – continua Göring – “È facilissimo: basta dirgli che stanno per essere attaccati, denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché mettono in pericolo il paese”. Un meccanismo semplice e spietato, che agisce sul lato più irrazionale dell’essere umano: l’istinto di difesa, la paura dell’invasione, l’odio per il “nemico”.
Göring non parlava solo della Germania nazista. Specificava chiaramente: “Funziona così in qualsiasi paese, che sia una democrazia, una monarchia, una dittatura”. Non si tratta quindi di un’anomalia storica, ma di una strategia universale, replicabile ovunque e in qualsiasi tempo.
Il processo è scientifico: “Bisogna spaventarli, inculcargli la paura”, diceva. E ancora: “Bisogna imbottirli di paura come si fa con le oche finché non gli scoppia il fegato per fare il pâté”. L’analogia è brutale, ma efficace: l’uomo, come l’animale, può essere nutrito di paura fino a deformarne la coscienza.
Il passo finale è ancora più agghiacciante: “Bisogna fare in modo che quella paura fermenti e si trasformi in odio, un odio assoluto, irrazionale, sguaiato”. È l’odio che cancella ogni empatia, ogni dubbio morale, ogni capacità critica. È l’odio che giustifica le bombe, le deportazioni, i massacri.
Oggi più che mai, in un mondo attraversato da conflitti, tensioni internazionali e manipolazioni mediatiche, ricordare queste parole è un dovere civile. Non per giustificare il passato, ma per riconoscere i segnali nel presente. La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma i suoi meccanismi, sì. È il caso della narrazione unilaterale a favore dell'Ucraina. Delle tensioni di Israele con l'Iran, o del silenzio colpevole sul genocidio in corso a Gaza. Ma è anche il caso della narrazione sul Covid e i relativi lockdow, vaccini obbligatori e Green Pass.
E allora, se i leader seminano paura e raccolgono odio, il compito dei cittadini – e della stampa libera – è quello di smascherare la menzogna prima che diventi consenso. Perché, come ci insegna la Storia, non esiste pace senza verità.